Mettiamocelo nella testa: difficilmente sapremo perché Giulio è stato ammazzato. Troppi gli interessi in gioco, soprattutto italiani: il ritorno del nostro ambasciatore al  Cairo è di fatto significativo. Non è perciò casuale  che questo abbia sollevato parecchie polemiche e scambi di accuse. Per non parlare poi delle proteste di Claudio e Paola Regeni, i genitori del ricercatore di Fiumicello che chiedono verità sulla morte del figlio.

Dobbiamo poi renderci conto che da quelle parti, s’intende l’Egitto, come del resto in sud America e in altre zone  del mondo, i diritti civili, la giustizia sono termini piuttosto vaghi di cui i poteri locali non vogliono nemmeno sentire parlare. E guai a chi tenta di ficcare il naso in questioni che non lo riguardano.

Morti misteriose, gente imprigionata, torturata e dimenticata in galere inqualificabili  fanno parte della brutale routine. Del resto si sa che il regime di Al Sisi è uno dei più terribili e di casi “Regeni” ne ha collezionati a centinaia con la complicità del silenzio della comunità internazionale che per questioni esclusivamente economiche finge di non accorgersi del fiume di sangue e delle atrocità perpetrate ormai da tempo all’ombra delle piramidi.

E  l’Italia non può chiamarsene fuori. Basti pensare agli interessi che ruotano attorno a un gigante come Eni che ha un impegno in termini di investimento  in Egitto pari a 14 miliardi di dollari per l’estrazione di gas e petrolio nel delta del Nilo.

Non parliamone poi della recente scoperta da parte del “cane a sei zampe” (il famoso logo dell’ente idrocarburi) di un nuovo giacimento, tra l’altro già operativo nelle perforazioni, che sembra garantire addirittura una riserva di 850 miliardi di metri cubi di gas. Non dimentichiamo poi gli affari miliardari dell’Edison, gli investimenti degli istituti bancari come  Banca Intesa San Paolo, l’avventura nel paese dei faraoni della Italcementi o del Gruppo Caltagirone e di tanti altri soggetti imprenditoriali  che non si sono certo fatti sfuggire il momento propizio.

Vogliamo poi parlare di equilibri geo-politici che sempre interessano direttamente il nostro Paese? Bene, a detta degli esperti l’Egitto sarebbe per l’Italia una sorta di garanzia, un alleato importante per la lotta al terrorismo, vale a dire per combattere l’Isis. Inoltre costituirebbe un appoggio strategico fondamentale  per il futuro impegno militare in Libia  già deciso dal Governo. E naturalmente al dittatore  Al Sisi conviene prestare il fianco a tale operazione per due semplici motivi: anche l’Egitto è nel  mirino della Jihad e poi, secondo motivo,  il regime tenterà in questo modo di eliminare  definitivamente   la minaccia  interna  che arriva dal fronte costituito dai  “fratelli musulmani”.

Ora, in tutta questa  fitta ragnatela  di interessi politici, personali, imprenditoriali, nazionali pensiamo ancora che  le domande  sulla tremenda morte del nostro brillante ricercatore  Giulio possano trovare davvero   risposte convincenti?

Che si possa giungere finalmente alla verità?

Le speranze sono, purtroppo,  alquanto ridotte se si considera, per esempio,  che  il Cairo  ha affidato  le  prime indagini sull’omicidio  del giovane  a  un tale che ha già sulle spalle una condanna per la morte, in seguito alle torture subite, di un povero disgraziato egiziano. Possono allora essere credibili indagini condotte da personaggi di questo genere?

Tra balle colossali  e  puntuali   depistaggi  si è comunque arrivati da tempo alla convinzione che dietro all’uccisione di Giulio ci siano gli apparati dei servizi di intelligence  e  uomini della polizia   vicini al regime di Al Sisi,  arrivato al potere con un colpo di mano militare sanguinario, e dunque  considerati intoccabili. Non sorprende infatti che nessuno di questi signori sia stato sentito o interrogato ufficialmente in merito ai fatti.

Patetica e imbarazzante è stata inoltre la decisione del governo Renzi di mandare dei nostri investigatori  che avrebbero avuto il compito di affiancare i colleghi egiziani nelle indagini. Ma quale collaborazione, il Cairo ci ha letteralmente snobbato, questa è la verità.  A conferma di ciò è che ai nostri agenti sono stati vietati gli accessi più elementari attraverso i quali  tentare di fare luce sulla morte di Giulio. Qualche esempio? Poteva essere interessante per acquisire ulteriori elementi la visione di un  video  della metropolitana che probabilmente il 28enne potrebbe aver preso. Mentre l’altra sberla all’Italia è quella relativa al trattamento riservato dalle autorità egiziane ai nostri 007 ai quali è stato addirittura negato di assistere alla prima autopsia. Di tutta  questa vicenda non  resta   che il dolore per  una morte assurda e brutale e il rispetto per i genitori di Giulio oggi ancora più comprensibilmente indignati  per le modalità, la tempistica e per le motivazioni che stanno alla base della decisione del Governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo. Per la famiglia del ricercatore dopo 18 mesi di lunghi silenzi e  depistaggi non vi è stata nessuna vera svolta sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio.  Secondo i familiari la decisione di rimandare ora, guarda caso nelle consuete distrazioni  ferragostane, l’ambasciatore in Egitto “ha il sapore di una resa confezionata ad arte”.

Intanto nelle ore scorse una novità che riguarda proprio la gestione volutamente raffazzonata del caso: al momento non vi è stata nessuna presa di posizione da parte di palazzo Chigi sulle clamorose rivelazioni apparse sul New York Times Magazine che parlano chiaramente del coinvolgimento diretto degli apparati egiziani  nel rapimento e nell’omicidio di Giulio. Prove schiaccianti raccolte dalla precedente amministrazione Obama e trasmesse al governo presieduto da Matteo Renzi nelle settimane successive al ritrovamento del corpo.

Tuttavia fonti del governo italiano si sono limitate a replicare che nel corso dei contatti tra Casa Bianca e Italia intercorsi nei mesi successivi alla barbara uccisione del giovane  “non furono mai trasmessi elementi di fatto, tantomeno  prove esplosive” come invece racconta l’articolo sulla rivista Usa. Insomma, dal nostro esecutivo arriva una secca smentita nonostante che

Declan Walsh, il giornalista che dal Cairo ha seguito tutte le fasi dell’inchiesta sull’omicidio, abbia avuto conferma di quanto poi ha raccontato nell’articolo da tre fonti dall’amministrazione Obama.  Dunque Washington aveva ottenuto “prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana senza ombra di dubbio”.

Alla luce delle novità arrivate da oltreoceano che intenzioni ha adesso il premier Gentiloni che, tra l’altro, ai tempi dell’omicidio era ministro degli Esteri? Non andrebbe forse approfondita la questione?  Il nostro Governo non dovrebbe ritenere necessario e urgente convocare in seduta straordinaria (dato che è Ferragosto e quindi “scomodare” dalle ferie di ben 40 giorni i “solerti” parlamentari) al fine di riferire sugli scambi di informazioni tra Washington e Roma sull’omicidio Regeni?  Che cosa stiamo aspettando?