Cosa aspettarsi dal vertice in Alaska? Se non uno schema di armistizio, almeno dei principi negoziali: un Memorandum of Understanding. La guerra nella sua fase terminale, che potrebbe durare mesi
Lo scorso 19 maggio scrivemmo che il giro di tavolo costantinopolitano era servito a relegare Kiev in un tavolo tecnico, quindi secondario. E a riservare a Trump e Putin il tavolo politico, quindi primario. Aggiungevamo: “Ora, dopo che Zelensky ha chiesto il cessate-il-fuoco senza preliminari concessioni da parte russa, chi potrà più attaccare Trump se pattuirà un cessate-il-fuoco senza preliminari concessioni da parte russa? Di più, dopo che Zelensky ha chiesto di incontrare Putin, chi potrà più attaccare Trump se incontrerà Putin? Risultato, il pallino è passato in mano a Trump. Per la prima volta effettivamente”.
Intermezzo caucasico
I successivi due mesi e mezzo sono stati impiegati per convincere Putin a servirsi pure lui dell’opportunità creata da Trump. Infine con le cattive, come ha sempre previsto Federico Punzi.
Da una parte, Trump ha convinto l’Armenia a sottrarsi alla protezione russo-iraniana, cedendo ad una antica richiesta dei suoi macellatori storici (ed anche molto recenti) turchi ed azerbagiani. In cambio di vaghe promesse di sostegno, alle quali stenteremmo a credere pure se le vedessimo in atto.
Col risultato di togliere a Mosca ulteriore peso nel suo ex-impero: un segnale che Putin non può non avere colto.
Intermezzo brasiliano
Dall’altra parte, Trump ha colpito, fra i partner commerciali della Russia, quelli potenzialmente più sensibili alle pressioni americane. Non ha ceduto il Brasile, in mano ad un Lula troppo ideologicamente compromesso. Ma che, forse, aspetta solo passi la buriana.
Intermezzo indiano
Ha ceduto l’India, in mano ad un Modi assai più amichevole e ragionevole. Talmente ragionevole, da inviare a Mosca un proprio altissimo funzionario e farlo ricevere direttamente da Putin. Lì, in cambio della solita pomposa dichiarazione di “partnership strategica”, l’indiano deve aver spiegato al russo che gli interessi dei suoi esportatori valgono più di qualche ulteriore chilometro quadrato di Ucraina conquistata. Perché gli affari sono affari.
Com’è, come non è, lo stesso Putin che due giorni prima faceva sapere di non volersi piegare alle richieste americane … dopo aver sentito gli indiani, accettava di incontrare Trump.
Mezza apertura negoziale russa
Ma non solo, egli accettava di ridimensionare le proprie pretese: dalla consegna dei tre Oblast ucraini da Mosca formalmente annessi ma non interamente occupati (Donetsk, Zaporizhzhia, Cherson, oltre a Luhansk quasi interamente occupato ed alla Crimea già interamente occupata), alla consegna di uno solo (Donetsk).
Enorme pretesa, risponderà il lettore. Ma è pur sempre una mezza apertura negoziale: una prima concessione russa. Ben accolta da Trump, il quale ha prospettato: “un po’ di scambio. È complicato … ma riavremo un po’ di terra indietro, ne scambieremo un altro po’. Ci saranno alcuni scambi di territori a beneficio di entrambe”.
In cambio, Putin otteneva di incontrare Trump ed in Alaska: che è pure un bello schiaffo alla Corte Penale Internazionale.
Mezza apertura negoziale ucraina
Un problema per Zelensky. Il quale, come abbiamo visto, non può più attaccare Trump: né se quello pattuirà un cessate-il-fuoco senza preliminari concessioni da parte russa, né se incontrerà Putin.
Ma potrebbe opporsi allo scambio di territori, in effetti già fa mostra di farlo: “la risposta alla questione territoriale ucraina è già contenuta nella Costituzione ucraina. Nessuno si discosterà da essa, e nessuno potrà farlo”.
Solo per subito aggiungere una mezza apertura: “gli ucraini non regaleranno la propria terra all’occupante”. Che sembra non escludere uno scambio, visto che un baratto è cosa diversa da una donazione.
Insomma, quello di Zelensky non è un no a Trump: il primo ha ben imparato di non poter dire No al secondo, senza pagare pegno.
Conferma indiretta
Qualcosa di più apprendiamo da una dichiarazione congiunta di sei capi di Stato o di governo europei e della baronessina dai capelli ossigenati. Che ci importa, non in sé, bensì in quanto “pienamente sostenuta” dallo Zelensky.
Ci troviamo sì, due riferimenti alla “integrità territoriale” dell’Ucraina. Ma assai mitigati dalla seguente affermazione: “i confini internazionali non devono essere cambiati con la forza. L’attuale linea di contatto dovrebbe essere il punto di partenza dei negoziati”. Tradotto:
- i confini internazionali non sono più sacri ed intangibili: possono essere cambiati pattiziamente;
- dei nuovi confini internazionali si può discutere, non più a partire da quelli riconosciuti, bensì dall’uti possidetis. Che è già una rivoluzione.
D’altronde, il ministro Tajani non solo chiede “l’impegno russo a non rivendicare altri territori oltre a quelli che faranno parte della trattativa”: con ciò mettendo subito da parte l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Ma pure offre una buona proposta di territorio che Mosca potrebbe cedere, in cambio del resto dell’Oblast di Donetsk: la centrale nucleare di Zaporizhzhia “deve restare in mano agli ucraini, all’interno di un’area demilitarizzata e con un patto di non belligeranza”. Logico ed impeccabile, semel in anno.
Le questioni non territoriali
Il resto della dichiarazione europea si attarda su vecchie richieste:
- “garanzie di sicurezza solide e credibili”: ciò che sappiamo Trump ha rifiutato sin dall’inizio;
- “l’Ucraina ha la libertà di scelta sul proprio destino”: che è chiedere l’ingresso nella Nato, senza più nemanco il coraggio di chiederlo in chiaro;
- “negoziati significativi possono svolgersi solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità”: che è il solito “niente cessate-il-fuoco senza trattativa”, che sappiamo affondato da Trump lo scorso maggio;
- “sostegno militare e finanziario all’Ucraina, anche attraverso il lavoro della Coalizione dei volonterosi”: che è un patetico richiamo al penultimo fallimento diplomatico del sempre ridicolo Macrone.
Insomma, roba vecchia che possiamo serenamente mettere da parte.
Pur tuttavia, le garanzie internazionali del futuro armistizio, in qualche altro modo andranno affrontate. Ma di ciò ancora sappiamo niente: solo sappiamo che non lo saranno nei modi che propone l’Europa.
La reale intenzione di Putin
Dopodiché, andrebbe pure valutato se le due reciproche mezze aperture siano sincere, oppure solo un modo insincero per ingraziarsi Trump.
Zelensky dichiara l’altrui insincera, quando scrive: “La Russia si rifiuta di fermare le uccisioni e quindi non deve ricevere alcuna ricompensa o beneficio. E questa non è solo una posizione morale, è razionale. Le concessioni non convincono un assassino”.
A Londra sembrano essere convinti del contrario: cioè, che Putin e Trump potrebbero effettivamente convenire uno schema rigido di armistizio.
Noi ci mettiamo a mezza strada, azzardando che dall’Alaska (o da una riunione ad essa conseguente, tanto da questa casella i giocatori debbono per forza passare) esca non uno schema di armistizio, bensì dei principi negoziali. Ad esempio, un principio dello scambio territoriale a partire dalla linea di contatto. Ad esempio, un principio del cessate-il-fuoco a partire dall’avverarsi di determinate condizioni, quando locale e quando generale. Un MoU (Memorandum of understanding), diciamo.
Dieci ipotesi di lavoro
Se tale MoU vedrà mai la luce, la successiva fase precontrattuale potrebbe svolgersi più o meno così:
- I principi negoziali stabiliti al tavolo politico (qualunque essi siano) verranno trasmessi al tavolo tecnico come vincolanti. Con buona pace del Merz e della sempre più inutile Kallas.
- Al tavolo tecnico, Zelensky e Mosca saranno chiamati ad applicarli. Ad esempio, discutendo se escludere dalla zona di guerra retrovie e città. Ad esempio, discutendo quanta parte dell’Oblast di Donetsk valga la centrale di Zaporizhzhia.
- La guerra proseguirà con le trattative, ma all’interno dei limiti consentiti dalla applicazione di quei principi.
- Kiev tratterà i nuovi confini come una mera linea armistiziale. Ma li riconosceranno formalmente gli Stati Uniti, almeno in parte ed al termine delle trattative. Che è tutto ciò che conta.
- Gli Stati Uniti non accetteranno un ridimensionamento formale delle dimensioni dell’esercito ucraino (tranne la sua permanente denuclearizzazione). Lasciando al tavolo tecnico le discussioni riguardo particolari distanze dai confini e sistemi di arma.
- L’Ucraina non entrerà nella Nato (questa è facile).
- Se entrerà nella Ue, verrà deciso al tavolo politico. Non sapremmo dire se in senso positivo o negativo.
- Il destino delle sanzioni verrà deciso al tavolo politico. Con buona pace degli europei, i quali non potranno che comportarsi di conseguenza.
- Il destino delle riserve di banca centrale russa in dollari, sequestrate ma non espropriate, verrà deciso al tavolo politico. Con buona pace degli europei, i quali dovranno trovare un loro accordo coi russi circa le riserve in euro, ma in separata sede.
- Gli Stati Uniti non si impegneranno a finanziare la ricostruzione dell’Ucraina con fondi diversi da quelli rivenienti dall’accordo minerario bilaterale. Lasciando agli europei ed al resto del mondo da saldare ciò che manca.
Su tutto il resto, oggi, è impossibile anche solo azzardare ipotesi.
Conclusioni
Insomma, la guerra in Ucraina potrebbe essere entrata nella sua fase terminale. Non sappiamo quanto lunga: magari settimane, magari mesi, magari molti.
A dispetto delle apparenze, oggi Kiev ne uscirebbe vittoriosa: nel senso di trasformarsi in un porcospino con gli aculei rivolti verso la Russia.
E nel senso di essere sopravvissuta alla propria guerra di indipendenza. Mentre la potenza imperiale avrà sì trattenuto qualche antica provincia, ma non l’antico impero. Un po’ come accadde all’Impero Ottomano, con l’indipendenza greca del 1829. E all’Impero Asburgico, con la guerra del 1859. Non vogliamo dire che all’Impero Russo è riservata la stessa fine dei due precedenti, solo perché le provincie trattenute sono effettivamente piuttosto russe, che ucraine.
L’Ucraina occidentale salvata dovrà affrontare crisi politiche interne di vigore non sottovalutabile. Ma potrebbe finire anche bene. Se poi saprà fare la felice fine della Corea del Sud salvata, lo scopriremo solo vivendo.
Musso – Atlantico Quotidiano


























