Colpiti i siti nucleari iraniani. Una dimostrazione di forza, capacità militare ma anche della determinazione di Trump ad usare la potenza americana quando sono in gioco gli interessi Usa

“Abbiamo completato con successo il nostro attacco a tre siti nucleari in Iran, inclusi Fordow, Natanz ed Esfahan”, ha annunciato nella notte Donald Trump su Truth. “Un carico completo di bombe è stato sganciato sul sito principale, Fordow. Tutti gli aerei sono tornati a casa sani e salvi”. E ancora: “congratulazioni ai nostri grandi guerrieri americani, non c’è un altro esercito al mondo che avrebbe potuto fare questo. Ora è il momento della pace! Adesso l’Iran accetti di mettere fine alla guerra”.

Qualche ora dopo, un breve discorso alla nazione dalla Casa Bianca: “Gli impianti nucleari chiave iraniani sono stati completamente e totalmente distrutti”, ha annunciato. “Il nostro obiettivo era la distruzione delle capacità di arricchimento dell’Iran e fermare la minaccia nucleare posta dal principale Stato sponsor del terrorismo al mondo”, ha aggiunto, parlando di uno “spettacolare successo militare”.

La “capacità nucleare” dell’Iran è stata “completamente e totalmente distrutta”. “Questo è uno momento storico per gli Stati Uniti d’America, Israele e il mondo”.

E ha infine avvertito Teheran: “L’Iran, il bullo del Medio Oriente, deve ora fare la pace. Altrimenti, gli attacchi futuri saranno molto più grandi e molto più facili“. “Rimangono ancora molti bersagli, quelli di questa notte erano di gran lunga i più difficili… Ma se la pace non arriva velocemente, colpiremo questi altri bersagli con precisione, rapidità… questione di minuti”.

Sarebbero stati impiegati nell’attacco 6 B-2 “Spirit”, che quindi avrebbero sganciato sul sito di Fordow ben 12 bombe “bunker buster”, mentre dai sottomarini sarebbero partiti 30 missili Tomahawk contro gli altri due siti.

Un attacco storico, dissimulato dalla dichiarazione secondo cui Trump avrebbe deciso sull’attacco “entro due settimane”, erroneamente interpretata da molti come due settimane di tempo per la diplomazia. Mentre l’Europa trattava, e a Teheran si convincevano di aver guadagnato altro tempo per lavorare al ventre molle dell’Occidente, e mentre Emmanuel Macron si metteva ovviamente alla testa degli sforzi diplomatici, a Washington si decideva l’attacco.

Una dimostrazione di forza, capacità militare ma anche della determinazione di Trump ad usare la potenza americana quando sono in gioco gli interessi statunitensi, intesi evidentemente non secondo una visione isolazionista. Qualcosa di impensabile per la presidenza Biden e qualsiasi amministrazione Dem, che probabilmente non avrebbe dato luce verde nemmeno all’operazione israeliana.

Un attacco che rende Israele più sicuro nel medio-lungo termine, che ridimensiona ulteriormente lo status dell’Iran nel contesto regionale e quindi favorisce la stabilità in Medio Oriente. Ma anche un primo forte smacco per l’Asse cinese. Pechino e Mosca hanno potuto solo assistere mentre il loro alleato chiave nella regione – causa di assorbimento di molte risorse politiche e militari Usa – veniva colpito duramente e, forse, in modo fatale.

Il ritorno della credibilità dell’Occidente, come aveva osservato giorni fa lo storico Niall Ferguson.

Federico Punzi – Atlantico