Conclusioni del tavolo politico Trump-Putin conformi a quanto era logico attendersi. Concordati alcuni principi negoziali, resta il nodo garanzie di sicurezza. Lunedì parola a Zelensky

Conclusioni vertice in Alaska conformi a quanto era logico attendersi.

Alaska o il tavolo politico

In Alaska si è riunito il tavolo politico, Trump-Putin, e un accordo comincia a configurarsi. Lo dice Putin, in conferenza stampa: “l’accordo che abbiamo raggiunto oggi”. Plausibilmente mettendo il carro davanti ai buoi.

Precisa Trump: “abbiamo trovato un accordo su molti punti. Pochissimi sono rimasti aperti: alcuni non sono così significativi, uno è probabilmente il più significativo, ma abbiamo ottime possibilità di arrivarci”. Lo ripete Trump, in una intervista alla Fox: “molti punti sono stati concordati … Ci sono uno o due questioni piuttosto significative, ma penso che possano essere risolte”. In entrambi i casi, ripete: “there’s no deal until there’s a deal”.

I principi negoziali

Oggetto di quella che possiamo considerare una bozza di accordo, sono i principi negoziali, come ci si aspettava. Quelli sinora conosciuti sono tre:

(a) rinuncia alla pretesa russa sulla parte non occupata degli Oblast di Cherson e Zaporizhzhia;

(b) land swap in cambio del resto dell’Oblast di Donetsk;

(c) rinuncia alla demilitarizzazione dell’Ucraina.

I primi due li conoscevamo. Il terzo si è aggiunto. Prima per bocca di Putin: “naturalmente, anche la sicurezza dell’Ucraina dovrebbe essere garantita. Naturalmente, siamo pronti a lavorarci”. Poi per bocca di Trump il quale, rispondendo ad una domanda circa il secondo e terzo principio, aggiungeva: “credo che questi siano principi sui quali abbiamo discusso e sui quali abbiamo in gran parte trovato un accordo, oggi”.

Concorre la nostra Giorgia Meloni: le garanzie di sicurezza, “è questo l’aspetto su cui si sono registrate ad Anchorage le novità più interessanti”.

Il principio negoziale delle garanzie

Né nella conferenza stampa, né nella intervista, a tale terzo principio negoziale è stato dato un contenuto. Così Trump: “preferirei di no. Immagino che qualcuno lo farà. Lo capiranno. Ma no, non voglio farlo. Voglio vedere prima se possiamo implementarlo”.

Di tale silenzio, ha profittato Meloni per rilanciare un proprio vecchio cavallo di battaglia: “Trump ha oggi ripreso l’idea italiana di garanzie di sicurezza che si ispirino all’articolo 5 della Nato”. Tentativo lodevole, ma fuori strada, ci pare.

Invero, le garanzie americane all’Ucraina certamente non consisterebbero in un aggiramento (un po’ furbesco) dell’impegno alla neutralità: il quale costituisce un presupposto alla trattativa in corso. Bensì, nel trattato minerario bilaterale e nella fornitura di sistemi d’armi, anche avanzati, così Trump: gli ucraini “sono grandi soldati, ma avevano anche le migliori armi, le nostre armi. Avevano la nostra attrezzatura … abbiamo il più grande equipaggiamento militare del mondo, ma loro hanno avuto il coraggio di combattere. E stanno combattendo una grande macchina da guerra”.

E spiace per la ennesima dichiarazione congiunta degli europei, la quale ripete stancamente: “[1] non dovrebbero essere poste limitazioni alle forze armate dell’Ucraina o [2] alla sua cooperazione con Paesi terzi. [3] La Russia non può avere un veto contro il percorso dell’Ucraina verso l’Ue e la Nato”. La terza è impossibile, almeno per ciò che riguarda l’adesione alla Nato.

Mentre sono possibili (anzi, auspicabili) la prima e la seconda, a condizione che gli stessi europei tornino sulla terra e la smettano di dedicare le proprie residue energie a mere petizioni di principio.

Europei nel mirino

Nel frattempo, meritandosi una risposta affilata, non della Fox ma del NYT: “non riesco a vedere che gli europei abbiano una grande strategia”. Se non, forse, attendere “che la Russia stessa inizi a rimanere senza persone da buttare nel tritacarne … ma ci vorranno ancora un anno o due e purché Washington continui a condividere l’intelligence operativa e l’Ucraina non si sbricioli dall’interno”.

Putin sembra preoccupato: “ci aspettiamo che Kiev e le capitali europee percepiscano l’accordo in modo costruttivo e che non facciano tentativi di … condurre provocazioni per silurare il progresso nascente”. Trump assai meno: “ora, tocca davvero al presidente Zelensky portare l’accordo a compimento. E direi anche che le nazioni europee, devono essere coinvolte un pochetto (a little bit), ma dipende dal presidente Zelensky”.

D’altronde, la telefonata post-summit di Trump è stata per un’ora col solo presidente ucraino, con gli europei ammessi solo nella mezzoretta finale.

Zelensky al quale lui, Trump, è convinto di offrire un buon accordo. Tenuto conto della situazione: “è una guerra terribile, nella quale egli sta perdendo molto”. Anche se poi chiosa: “forse gli ucraini diranno di no, perché Biden ha distribuito soldi come se fossero caramelle e l’Europa gli ha dato un sacco di soldi”.

Prossimi passi

Gli europei non si risparmiano di aggiungere casino, dicendosi “pronti a lavorare con il presidente Trump e il presidente Zelenskyy per un vertice trilaterale con il sostegno europeo”. Laddove, per trilaterale, sembra dover intendere con Putin: gli europei vorrebbero essere presenti ad un prossimo incontro con Putin.

Per loro sfortuna, le cose sembrano organizzarsi diversamente. Lunedì, Zelensky verrà ricevuto alla Casa Bianca. “Se tutto andrà bene”, scrive Trump, seguirà un nuovo vertice Trump-Putin.

E, solo dopo questo, un trilaterale Trump-Zelensky-Putindice la TASS. Al quale Trump si è già detto disponibile: “entrambe mi vogliono lì e io ci sarò … E sarà una giornata: penso che in entrambi i casi sia un grande giorno, ma se risolviamo questo problema, è davvero un grande giorno perché salveremo molte vite”.

Quando? “Abbastanza breve. Sì, abbastanza breve”. Ma quando non è stato deciso, che prima bisogna sentire Zelensky.

Inoltre, il tutto nell’ottica di un trattato di pace vero e proprio. Che sembra rappresentare una primaria richiesta russa, l’accoglimento della quale pare a noi tutt’altro che scontato: più facile che Kiev ceda su tutto il resto, piuttosto che sul riconoscimento ufficiale delle annessione. Ma qui vivra verra.

Conclusioni

Sin qui, lo schema analitico tavolo politico-tavolo tecnico sembra funzionare: con gli europei fuori giuoco e Kiev chiamata ad un ruolo francamente secondario, benché non assente. È brutto? È indecoroso? A noi non sembra, ma può anche darsi. Il fatto è che è così.

Musso – Atlantico Quotidiano