Abituati da decenni a incassare cospicui assegni per i “signori della politica” potrebbe arrivare la stangata.

Ne prenderanno meno, certo, ma saranno sempre tanti per quello che in realtà hanno concluso.

Saranno dunque tutti uguali al resto di noi poveri cristi costretti a fare i conti a fine mese tra spese fisse e conti imprevisti.

Il decreto sul taglio dei vitalizi dei parlamentari in queste ore in discussione alla Camera livellerà sul fronte pensionistico i parlamentari ai lavoratori comuni. Insomma,  quelli che alla fine hanno davvero lavorato.

 

Qualcuno ha già fatto qualche conto  e sembra che a piangere più degli altri sia Publio Fiori che in un colpo solo perderebbe circa 4mila euro al mese. Alle sue spalle Nicola Mancino, ai tempi presidente del Senato e vicepresidente del Csm, che andrebbe a meno  3mila a pari merito di Clemente Mastella, oggi sindaco di Benevento.

Il colpo di mannaia non risparmia neppure i compagni di lungo corso come  Massimo D’Alema e Walter Veltroni che rischiano di essere “alleggeriti” nel portafogli di  2.200 euro mensili.

 

Non solo. L’articolato di legge, se così come è stato confezionato andrà in porto, dimostra severità nei vari passaggi dei regolamenti introdotti. E questo farà sicuramente piacere a chi ha sempre ritenuto scandalosi i privilegi riservati alla casta.

La scure che si abbatterà sui vitalizi avrà effetto retroattivo. Di fatto il metodo di calcolo del trattamento sarà completamente contributivo già in vigore  per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996.

tagli

Inoltre anche questi eletti dal popolo dalla prossima legislatura riceveranno la pensione se avranno raggiunto l’età prevista dalla legge Fornero, ossia 66 anni e 7 mesi e non 65 anni scalabili di 5 per ogni legislatura completata.

Il giro di boa riguarda anche i consiglieri regionali  che si vedranno decurtati i loro esagerati stipendi del 50%.

 

A conti fatti il risparmio previsto si aggira sui 218 milioni sborsati dalle casse di Montecitorio e  Palazzo Chigi nel 2016 per i circa 2.600 pensionati a fronte di una cinquantina di milioni versati da deputati e senatori.

Alla fine della fiera se non ci saranno intoppi gli ex comunisti  D’Alema e Veltroni direbbero addio agli attuali  5.500 euro mensili – a testa naturalmente – per riceverne circa 3.300. Che alla fine non è male come stipendio. Stesso trattamento per Fini che  passerebbe da 5.800 a poco più di 3.500 euro mensili netti. Mentre Antonio Di Pietro dovrebbe essere  alleggerito di  1.600 euro: da 4mila a 2.400 euro.

 

Come detto a versare lacrime amare più degli altri il super-pagato ex ministro Publio Fiori che oggi incassa 10.131 euro al mese che in un stante si ridurrebbe a 6mila. Anche altri vecchi paperoni democristiani non accoglieranno di buon grado la novità come Franco Marini  e Ciriaco De Mita che dovrebbero rinunciare a più di un terzo di quanto accumulato. Stessa sorte al ribasso per gli esponenti duri e puri della “falce e martello” come Fausto Bertinotti o Nichi Vendola  che passerebbero da poco meno di 5mila euro a circa 3mila. E a dire il vero questi ultimi due dovrebbero anche essere contenti visto che in questo modo si avvicinerebbero almeno un po’ a quella classe operaia, agli emarginati che loro, almeno a parole, hanno cercato sempre di difendere sul terreno dei diritti.