Dicono che sono in vantaggio i No,

ma gli Usa insegnano

Attenzione a quello che ci raccontano i sondaggisti: siamo così sicuri che gli italiani contrari alla riforma costituzionale decisa da Renzi siano più numerosi rispetto ai connazionali che invece promuovono questa contrastata revisione della Carta?

Meglio non credere a tutto ciò che ci raccontano analisti e saccenti vari che fanno a gara per una comparsata in tv e andare dritti a votare il 4 dicembre. In questi ultimi giorni la passerella dei grandi sapientoni esperti in massimi sistemi delineano già gli orientamenti di voto indicando che il No avrebbe preso addirittura il volo aumentando sensibilmente il proprio vantaggio superando il 40% dei consensi mentre il Sì avrebbe perso terreno scendendo sotto la soglia del 35%. A questo punto quelli favorevoli al No potrebbero essere, nell’ipotesi peggiore, quasi propensi a cantare vittoria e considerare dunque tempo perso quello di  recarsi alle urne. Ecco, questo sarebbe invece un errore clamoroso che spianerebbe di fatto la strada all’avversario, ossia favorire il fronte del Sì.

Il recente flop dei sondaggisti americani nelle presidenziali che davano ormai per scontata la vittoria di Clinton dovrebbe aver insegnato qualcosa sull’inaffidabilità di tali previsioni. Non dimentichiamo che negli Usa è stato proprio quel popolo invisibile a stravolgere le elezioni facendo saltare il banco.

Inoltre c’è da aggiungere un’altra variabile che potrebbe influenzare concretamente l’andamento della consultazione fino a determinare un totale capovolgimento del risultato finale e, di conseguenza, confermare che ogni previsione si rivela in realtà una inutile perdita di tempo. In questo senso va infatti considerato che la sacca di elettori ancora incerti e poco propensi ad andare ai seggi è decisamente consistente e supererebbe il 30%. Non ultimo possiamo anche evidenziare la complessità della materia trattata nel quesito che non è certamente di facile comprensione e che, diciamocela tutta, la maggior parte delle persone non sa neppure di che caspita  si stia parlando. Solo una cosa è certa: buona parte degli elettori andrà a votare per togliersi dai piedi Renzi o  per tenerselo. Il resto sono chiacchiere da salotto.

Tra l’altro, per rimanere in tema, tantomeno dobbiamo credere alle balle del premier quando dichiara che se ne andrà qualora  vincesse il No perché lui dice che “di inciuci non ne fa”… ci penseranno  Napolitano o Mattarella a convincerlo a rimanere, se ce ne fosse proprio bisogno.

Attenzione poi a un’altra pagliacciata colossale: mancano un paio di settimane al voto e anche i centri di potere internazionali muovono le loro pedine agitando spettri minacciosi, catastrofi finanziarie con il solo obiettivo di seminare terrore soprattutto tra gli indecisi. Il solito complotto dei mercati che lanciano l’allarme spread, Brexit  e il pericolo di derive populiste (sai quanto fanno tremare) e tutti i rischi connessi sostenendo che solo la vittoria del Sì è in grado di dare stabilità al Paese.

E a portare acqua al mulino di Renzi ci si mettono anche i giornaloni Usa,  che però hanno intanto toppato alla presidenziali. Tra i primi a tirare la volata al fiorentino il Wall Street Journal che cerca di fare breccia nell’elettorato nostrano sostenendo che la proposta di riforma costituzionale del presidente del consiglio non solo renderà più snella l’approvazione delle leggi ma sarà la grande occasione di seppellire definitivamente l’establishment… perché Renzi di che “club” fa parte?

Ma l’analisi del quotidiano d’oltreoceano va oltre . Dopo Trump e l’addio all’Ue del Regno Unito, racconta sempre l’articolo, gli occhi di mezzo mondo sono concentrati sull’Italia. I burocrati dell’eurozona, temendo la progressiva avanzata dei No, paventano scenari terribili  per il nostro Paese già costantemente a rischio instabilità economica. Nel caso di sconfitta, a detta dell’editoriale americano, a Renzi rimarrebbero due possibilità:  continuare a governare oppure rimanere sempre a palazzo Chigi cambiando però coalizione e la squadra dell’esecutivo.

Insomma, per americani e partner europei in ogni caso è meglio che rimanga Renzi. Tuttavia, ci spiegano gli  strateghi, sarà evidente l’incapacità della politica italiana di promuovere vere riforme… quelle che vanno bene alle lobby però.