Cinque su sei i quesiti referendari sulla giustizia ammessi dalla Consulta. Suona come una vittoria per Lega e Partito Radicale, che insieme li hanno promossi. Referendum che si terranno in primavera e che non avranno la “spinta popolare” dei temi etici (eutanasia e cannabis), bocciati dalla Corte, presieduta dal neo eletto presidente Giuliano Amato.

Passano i quesiti sulle modalità di elezione del Csm, sull’equa valutazione dei magistrati, con il quale verrebbe consentito anche ai “membri laici” (avvocati e professori) dei Consigli giudiziari di votare sull’operato dei magistrati, sulla separazione delle funzioni, secondo il quale i magistrati dovranno scegliere, fin da subito, tra funzione giudicante o requirente. Se ora possono cambiare funzione per un massimo di due volte, con la vittoria del sì, la decisione dovrà essere presa a inizio carriera. Ricevono il via libera della Consulta anche il quesito sulla limitazione della custodia cautelare (rimarrebbe la carcerazione preventiva per i reati più gravi) e quello sull’abolizione della Legge Severino, decreto legislativo che prende il nome dal firmatario, l’ex ministro della giustizia Paola Severino, e che prevede l’incandidabilità oltre che l’ineleggibilità, in caso di condanna in primo grado, di parlamentari, consiglieri regionali, amministratori locali e sindaci.

Rimane intoccabile la responsabilità civile indiretta dei magistrati. Il cittadino colpito da accuse inesistenti o che malauguratamente finisce in carcere pur essendo innocente dovrà rivolgersi genericamente allo Stato che poi dovrebbe, molto in teoria, rifarsi al singolo magistrato.

Il tema giustizia, più volte discusso in Italia, è diventato ostico sia per la politica sia per l’opinione pubblica, ma ormai la stragrande maggioranza dei cittadini italiani si esprime in modo inequivocabile. Salta agli occhi un cambiamento di opinione nei confronti della magistratura: mentre nel 2010 il 68 per cento degli italiani si esprimeva positivamente, oggi, solo un italiano su tre (32 per cento) dichiara di avere fiducia nella magistratura. Un calo drastico, se consideriamo il tempo ristretto nel quale si è verificato, poco più di 10 anni.

Come se non bastasse, l’ultima riforma della giustizia (riforma Cartabia) è stata seguita solo dal 28 per cento dell’opinione pubblica e approfondita da una quota ancora inferiore (7 per cento).

Questi dati, oltre a evidenziare un problema storico del nostro Paese, mettono in luce tutte le mancanze della nostra informazione per quanto riguarda il rapporto tra politica e giustizia.

Per due anni abbiamo assistito, ogni singolo giorno, ad un’assillante campagna informativa e mediatica sul Covid-19 e le relative questioni sanitarie. Ora, dovremmo aspettarci lo stesso trattamento per temi politici, etici, giudiziari e perché no, sulla tornata primaverile dei referendum. Ciò che manca è una coraggiosa campagna di informazione. Una finestra di approfondimento ampia e neutrale volta non a tifare per il sì o per il no, ma che si ponga come compito principale quello di informare i cittadini italiani e favorire il raggiungimento del quorum. Formare, tale è il significato primo, in latino, di informare. L’obiettivo è questo. Dare forma a una solida campagna di informazione che dovrebbe, per una volta, superare le divisioni partitiche. Dare forma a un’occasione irripetibile per il nostro Paese. L’occasione di imporre una svolta garantista al nostro sistema giudiziario e allo stesso tempo rispondere positivamente alla volontà dei cittadini seguendo quello che, ad oggi, è lo strumento di democrazia diretta per eccellenza: il referendum abrogativo.

Al contrario, i risvolti politici e sociali di un mancato raggiungimento del quorum avrebbero un impatto diametralmente opposto: cristallizzare un problema annoso, delegittimare l’iniziativa referendaria e, di conseguenza, la volontà popolare, e per ultimo, consegnare l’ennesima “vittoria” al partito giustizialista. Prendendo in prestito il titolo di una famosa dipinto di Francisco Goya, “Il sonno della ragione genera mostri”, possiamo affermare che il rischio a cui andiamo incontro è simile. In questo caso a dormire non sarebbe la ragione umana, bensì l’informazione italiana. Il sonno dell’informazione, avrebbe, dal canto suo, la novità di generare mostri ben precisi. L’immobilismo è uno di questi. Una costante del nostro Paese, quella di depotenziare le spinte al cambiamento e di resistere alla modifica di poteri consolidati. Soprattutto se a rimetterci è la magistratura italiana.

William Zanellato – Atlantico