Di soldi ne arriveranno tanti, questo è vero. Ciò nonostante bisognerà ora dimostrare a coloro che hanno deciso di aiutare il Belpaese di saperli spenderli bene, con oculatezza, con criterio. Ma visto lo “spessore” dei governanti che ci ritroviamo nutriamo qualche dubbio sulla capacità di costoro nel gestire con responsabilità la borsa della spesa come richiamerebbe il dovere del buon padre di famiglia. E purtroppo, a conferma delle perplessità appena sollevate, proprio l’altro giorno al consiglio dei ministri si sono già registrate le prime frizioni interne alla maggioranza su come spartirsi il bottino. Addirittura la follia stellata spingerebbe a incrementare la distribuzione del reddito di cittadinanza. Insomma, c’è da ridere anche se in verità non c’è tanto da scherzare visti i tempi che stiamo vivendo.

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Il Consiglio europeo dopo un summit fiume durato quattro giorni ha trovato dunque l’accordo per il Recovery Fund. Dal 2021 al 2027 il bilancio della Commissione europea si arricchirà di 750 miliardi che saranno utilizzati per aiutare i singoli Stati ad affrontare la crisi economica determinata dal Coronavirus. Di questi 390 saranno erogati a fondo perduto, altri 360 sotto forma di prestiti. In soldoni all’Italia ne arriveranno 209: 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti.

L’Italia, come anche nella iniziale proposta della Commissione, è il Paese che più beneficia degli stanziamenti ottenendo il 28% del totale. A conti fatti arriveranno 36 miliardi in più rispetto alla proposta originaria della Commissione che per Roma aveva previsto uno stanziamento da 173 miliardi.

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Però nonostante la pioggia di denaro attesa dobbiamo tuttavia chiarire che l’accordo sul Recovery Fund, altrimenti noto come Next Generation EU, su cui poggia la risposta europea alla pandemia di Covid-19, non è certo una vittoria di Conte come ci hanno spacciato giornaloni e poteri forti di Bruxelles. In verità a salvarci sono stati la cancelliera Angela Merkel ed Emmanuel Macron che sì, hanno deciso di aiutare Roma, ma per salvare una Unione europea da tempo in crisi. In sostanza l’asse trainante franco-tedesco è stato ancora una volta determinante dopo un lungo braccio di ferro che ha visto da una parte i Paesi del Nord, cosiddetti frugali, capitanati dall’Olanda, e dall’altra i mediterranei, tra cui Italia e Spagna, sostenuti appunto da Germania e Francia. In sostanza Parigi e Berlino sanno bene che se andasse a fondo l’Italia – uno dei paesi fondatori dell’Ue – si verificherebbe un effetto domino terribile con conseguenze devastanti per l’intera unione che andrebbe a gambe all’aria.

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Ma c’è di più. Tra i veri vincitori della partita dobbiamo inserire per verità anche il “cattivone” premier olandese Mark Rutte, che non ha assolutamente dovuto calarsi le brache, come qualcuno avrebbe voluto far credere facendolo passare per il perdente di turno innalzando sul podio la “bufala Conte”. Anzi, tutt’altro: Rutte ha fatto il pieno portandosi a casa sconti e rimborsi per il l’Olanda e il resto dei paesi frugali con la sottrazione di 110 miliardi dai sussidi, il freno a mano sull’erogazione delle tranche e una sorta di veto sui finanziamenti perché con un terzo dei partner dell’Unione si controlla tutto. Non è forse una vittoria questa? Del resto Rutte non poteva fallire visto che si ritrova in patria a fare i conti con il partito antieuropeista dei sovranisti che nelle elezioni dello scorso anno ha guadagnato un forte consenso.

Inoltre c’è anche un particolare non certo trascurabile che viene però intenzionalmente sottaciuto: degli 80 miliardi di sussidio destinati a noi, quelli netti saranno in realtà solo 20 perché andrà sottratto il finanziamento annuale all’Unione di 15 miliardi che in 4 anni fa 60, dunque 80 meno 60 il netto fa 20. Insomma, facendo i conti della serva la lunga trattativa alla fine è stata più per i frugali che per l’Italia.

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E poi raccontiamola tutta la questione di questa intesa raggiunta soprattutto nelle retrovie lontano dai microfoni. Giuseppi per evitare il peggio e poter quindi tornare a Roma come il “salvatore della Patria” si è giocato l’asso nella manica della crisi di governo e delle elezioni anticipate che in questo caso avrebbero portato alla vittoria il centrodestra. Sostanzialmente “mister pochette” è stato chiaro con Angela Merkel e ad Emmanuel Macron: se fosse tornato a casa a mani vuote la sfiducia sarebbe stata una conseguenza inevitabile e in quel caso evitare le elezioni sarebbe stato impossibile. Con il risultato che il centrodestra sarebbe andato dritto al governo.

E visto che i padroni dell’Unione, sempre naturalmente il tandem Francia-Germania, sono riusciti più di una volta, l’ultima con il governo giallo-verde, a far saltare le coalizioni di centrodestra regolarmente elette sostituendole con vergognose ammucchiate costituite attraverso oscure trame di palazzo alla faccia dei cittadini, anche questa volta si è consumato puntualmente il colpo di mano per impedire di ritrovarsi come rappresentanti dell’Italia un Salvini o una Meloni.

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In definitiva di fronte al rischio di ritrovarsi l’Italia a guida centrodestra, la cancelliera e il francese hanno rapidamente forzato la mano dando all’avvocato del popolo non solo quello che chiedeva ma anche ciò che potremmo definire il premio di consolazione aumentando il prestito totale di 30 miliardi. Così stanno in realtà le cose. Di fatto l’incubo di avere un’Italia a guida centrodestra deve aver fatto più paura della crisi stessa che stiamo attraversando. Ricapitolando diciamo quindi che il Conte bis andava protetto ad ogni costo poichè è nato solo per via di un diktat franco-tedesco che non voleva assolutamente saperne di un esecutivo targato Lega nonostante fosse stato voluto dalla maggioranza degli italiani. Se ne deduce perciò che la soluzione del lungo vertice era già scritta. Non poteva chiudersi diversamente.

Diciamoci anche un’altra verità: il filo conduttore dell’Ue e del malgoverno che ci ritroviamo non è stato certo quello di pensare ai problemi veri dell’Italia – saremmo dei poveri illusi crederlo – ma bensì quello di evitare che una crisi portasse a nuove elezioni. Azione di forza che ha così nuovamente mortificato la democrazia. Come è stata calpestata la volontà popolare l’anno scorso quando è nato il Conte-bis contro ogni logica democratica portando al governo con un blitz di palazzo chi in realtà aveva perso le elezioni, ovvero il Partito democratico e il resto della galassia sinistrorsa finita all’opposizione dopo essere stata severamente punita dall’elettorato.

Ora, finita la sbornia europeista delle auto-celebrazioni rosso-grillozze, per l’Italia nulla è cambiato perché resta governata da presuntuosi  voltagabbana certamente incapaci di affrontare e risolvere i gravi problemi reali del paese. Togliendo per un attimo dal totale dei conteggi prestiti e sussidi vari ciò che fa la differenza è la tabella di marcia di ciò che si vuol fare in concreto, la strategia in grado di individuare un piano per il rilancio dell’economia. Strategia che l’accozzaglia di palazzo Chigi non è certo all’altezza di mettere in piedi, tantomeno lo ha lontanamente pensato. Insomma, ha saputo solo presentarsi a Bruxelles col piattino in mano sperando nella buona sorte. E gli andata bene tanto che Conte deve aver pensato “e ora chi mi sposta più da palazzo Chigi”.

I disastri della truppa degli inetti li conosciamo. In questi mesi sono stati bruciati più di 80 miliardi di debito ulteriore, danaro dissipato in assistenza, statalismo, salvataggi assurdi e contentini elettorali finalizzati al solo scopo di guadagnare voti. Ciò significa che non si è fatto nulla in grado di  offrire alle aziende, al lavoro, ai consumi, il sostegno necessario per ripartire.

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E allora? E allora visto che adesso ci manderanno i soldi con giusta ragione saremo quindi i sorvegliati speciali, i commissariati dell’Ue. Quindi lasciamo perdere l’esultanza da stadio,l’imbarazzate ritorno trionfale di “mister pochette” accolto in Aula con la ola dalla sua raffazzonata maggioranza. Sull’uso dei finanziamenti dovremo renderne conto. Eccome. Per poter accedere ai fondi Giuseppi e compagnia dovranno presentare ad ottobre alla Commissione un piano nazionale di ripresa e resilienza che nel dettaglio dovrà descrivere come si intende usare i fondi.

E cosa non può mancare nei piani di ricostruzione? Bene, essi devono essere redatti tenendo presenti le raccomandazioni dell’Ue puntando soprattutto al rafforzamento della crescita e in modo coerente alla transizione verde e digitale dell’economia. Altro aspetto che indica come i soldi vadano spesi bene riguarda i termini in cui i fondi saranno erogati solo al raggiungimento di obiettivi misurabili concordati anticipatamente nel piano. La valutazione del raggiungimento di tali obiettivi sarà affidata al Comitato economico e finanziario. Toccherà poi al Consiglio, su indicazione della Commissione che ha tempo due mesi, decidere a maggioranza qualificata (55% dei Paesi pari al 65% della popolazione Ue) se approvare il piano.

Intanto le nostre imprese sono sul piede di guerra esasperate e indignate per l’immobilismo del governo e per questo sono pronte alla disobbedienza. Infatti l’incompetenza giallorossa è stata ampiamente evidente negli ultimi mesi: i miracolati della politica non capiscono che anziché tutelare l’enorme apparato statale, costoso e in parecchi settori gravemente inefficiente, andava tutelato quello privato senza il quale salta tutto a partire dalle tasse e dai finanziamenti. Del resto basterebbe che Giuseppi guardasse quello che fanno Francia, Germania e Olanda per sostenere aziende, cittadini, consumi e occupazione ad iniziare proprio dalla fiscalità. Quindi smettiamola di accusare l’Olanda di essere un paradiso fiscale come se il modello per l’economia fosse il caos italiano delle tasse. Ricordiamoci che la leva fiscale è uno strumento potentissimo di stimolo alla crescita e per questo sarebbe sufficiente copiare da chi ha capito prima e meglio di noi la lezione. E smettiamola con il lamento facile  criticando tutto e tutti.

Ma purtroppo cattocomunisti e grilluti prosperano per distruggere la produzione della ricchezza proprio attraverso la pressione fiscale per mantenere in piedi un sistema assistenziale dannoso al paese. Ecco perchè la convinzione principale è che adesso siamo giunti al giro finale. Da Bruxelles il segnale è stato chiaro: per l’Italia è l’ultima occasione per rimettersi in carreggiata e se  non saremo in grado di farlo non saranno i sovranisti italici a farci uscire dall’Unione ma sarà l’Unione stessa a cacciarci. E a calci nel sedere con tutte le ragioni di questo mondo.