E’ morto giovedì pomeriggio il dissidente Liu Xiaobo detenuto da 8 anni.

Accanto a lui la moglie Liu Xia, poetessa anche lei prigioniera come il marito. Aveva 61 anni e da tempo era malato di cancro al fegato. Primo cinese ad essere insignito del Premio Nobel per la pace di recente era stato trasferito dal carcere in un ospedale di Shenyang, nella provincia settentrionale di Liaoning, dopo che le sue condizioni erano peggiorate.
Protagonista del famoso movimento di piazza Tienanmen nel 1989 lo scrittore e professore di letteratura nel 2009 era stato condannato dal regime a 11 anni di carcere per “incitamento alla sovversione dello Stato” .

liu
Nel 2010 l’attivista era stato insignito del premio Nobel “per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti fondamentali in Cina”, ma purtroppo non poté andare a ritirarlo: fece una certa impressione quando alla cerimonia di consegna alla Sala dei Concerti di Stoccolma il professore fu rappresentato simbolicamente da una sedia vuota.
Ma buona parte della Cina neppure conosce Liu e chi ne ha sentito parlare difficilmente sa della sua partecipazione ai disordini di Tienanmen. La censura è calata dunque sulla sua morte nella stessa maniera in cui si è abbattuta come una scure sulla sua vita, sulle sue battaglie per la democrazia.
Prima di finire in carcere il professore scriveva che sarebbe stato proprio internet la forza propulsiva che avrebbe contribuito a cambiare gli equilibri in Cina e che lo sforzo del governo di controllare la rete sarebbe stato alla fine inutile.
Ma invece, purtroppo, non è andata così e le montagne di denaro per la costruzione di una imponente difesa web per bloccare tutto ciò che viene considerato dal partito anticinese ha dato i suoi frutti, ossia risultati più duri e restrittivi in termini di controllo sui cittadini.
Ora quello che imbarazza maggiormente è il silenzio del mondo libero, dell’occidente che sulla questione difesa dei diritti umani sembra non accorgersi, finge di non sapere. E questo per difendere tutta una serie di interessi economici che legano molte realtà industriali, come dell’Unione europea e degli Usa, a Pechino.