L’inquilino dell’Eliseo le prova tutte per ritagliarsi un ruolo internazionale. Ma i numeri e gli insuccessi parlano chiaro: la Francia è un Paese in crisi

Prima la scenetta a San Pietro per intrufolarsi tra Trump e Zelensky, poi la velleitaria proposta di attirare con una dote di 500 milioni un nugolo di fantomatici ricercatori americani disgustati da Trump e infine il disperato tentativo di ristabilire un’asse FranciaGermania con il neoeletto Merz: Macron le sta provando tutte per essere riconosciuto come leader globale capace di influire sul dibattito internazionale, ma non sembra che ne abbia né il peso né la credibilità per poterlo fare. In Francia, l’instabilità politica interna e l’economia in crisi sottolineano la debolezza del proprio Presidente che si ritrova a guidare il nuovo malato d’Europa. Il suo partito ha una crisi di consenso che ha avuto il suo culmine alle elezioni europee del 2024, dove il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen ottenne il 31,4% dei voti accelerando la crisi politica interna. Da allora ad oggi, l’incapacità di ottenere una maggioranza stabile ha portato a molteplici amministrazioni in un breve arco di tempo, e all’instabilità politica e di bilancio senza precedenti.

La debolezza del Presidente e le turbolenze politiche conseguenti hanno avuto immediate ripercussioni economiche. L’Istituto Nazionale di Statistica e Studi Economici (Insee) ha segnalato un’espansione del PIL francese di appena lo 0,1% nel primo trimestre del 2025, a seguito di una contrazione di medesimo valore alla fine del 2024. Il deficit fiscale del Paese, che ha raggiunto il 6,1% del PIL nel 2024, supera significativamente il limite del 3% imposto dall’Ue. Il progetto di bilancio francese per il 2025 prevede 60 miliardi di euro di tagli alla spesa e aumenti delle tasse per ridurre il deficit al 5% del PIL. Tuttavia, gli economisti rimangono scettici: alcuni prevedono un deficit più elevato e una crescita inferiore, sollevando preoccupazioni sulla sostenibilità del consolidamento fiscale.

Dal punto di vista politico ed economico, usando le stesse lenti che solo pochi anni fa venivano usate per leggere lo spartito italiano, la Francia sembra essere diventato il grande malato d’Europa. Tra i grandi solo Stati Uniti e Cina hanno un deficit pubblico superiore a quello di Parigi.

Se il sistema Francia non gira, le conseguenze sull’economia internazionale rischiano di farsi sentire: basta pensare all’esposizione delle banche tedesche (la maggiore economia dell’Ue) al debito francese che è passata dal 6% nel 2007 al 9,3% alla fine del 2023, o delle banche britanniche la cui esposizione al debito francese è arrivata a circa il 10% della loro esposizione estera. Cifre da far rabbrividire, soprattutto se le paragoniamo a quelle della Grecia che hanno innescato la crisi del debito dell’Eurozona: Atene rappresentava solo l’1,3% del PIL dell’Ue, quello della Francia oggi è il 16,6%, allora le banche tedesche rischiavano 10 miliardi, ora ne rischiano 120.

E l’aumento dei costi di indebitamento del governo francese è un problema anche casalingo, perché fa aumentare i costi per il settore privato con effetti negativi sul Pil della Francia e una crescente leva per la disoccupazione; sarà più difficile per i cittadini francesi ripagare i debiti.

Se Macron è debole sul fronte interno, le sue politiche estere sembrano fortemente orientate all’interesse nazionale, cosa ovviamente comprensibile, anche se in contraddizione con il suo europeismo di facciata, e peraltro, a volte, compromettono gli obiettivi condivisi dell’Europa. Ne è esempio l’opposizione della Francia a trattati commerciali come il patto Ue-Mercosur, adducendo problemi legati al suo settore agricolo. Una opposizione che ha ostacolato l’accesso ai mercati sudamericani, pregiudicando le prospettive economiche dell’intera Ue,

Sono poi molteplici i suoi insuccessi anche militari che hanno offuscato la reputazione dell’Ue e permesso a Russia e Cina di incrementare l’influenza su quadranti strategici. Nel Sahel, il fallimento delle iniziative occidentali ed europee a guida francese di capacity building e di difesa dei civili contro il terrorismo hanno alterato profondamente la geografia di influenze nella fascia saheliana. Con la chiusura delle missioni militari francesi, non più ben accette in Mali, Burkina Faso e a breve in Costa d’Avorio, si è ravvivata la spinta russa a proporsi come energy e security provider (con prospettive ben poco rassicuranti in termini di efficacia, alimentando ancora di più l’instabilità areale e indirettamente anche quella nordafricana e del Mediterraneo).

Sarebbe quasi impietoso paragonare il fallimento del neocolonialismo macroniano con il successo dell’azione italiana in Africa: un’azione coordinata tra il nostro Piano Mattei, la Global Gateway Strategy dell’Unione Europea e il programma Development Policy Financing della Banca Mondiale ha portato a una nuova strategia non predatoria che ha riaperto la presenza del nostro continente nel sud del mondo.

Più che una “grande Francia”, abbiamo di fronte un Paese in crisi, che agisce con politiche unilaterali e con un leader in forte crisi nel governare il proprio Paese e, ancora di più, a giocare una partita nel complesso scacchiere internazionale. E questa non è buona notizia per l’Europa intera.

Nicola Porro – Atlantico