Finale scontato: nessuna conquista reale, nessun passo avanti per la pace. Restano divisioni, disagi e il sospetto che la causa sia stata usata come pretesto per colpire il governo Meloni

Quello che si è visto nelle piazze italiane negli ultimi giorni parla da sé: cortei degenerati in violenza, incendi, scontri e vandalismi. Scene che nulla hanno a che vedere con la solidarietà verso il popolo palestinese e che, anzi, finiscono per svuotarne il messaggio.

Perché nessuno, davanti a barricate improvvisate e urla come “blocchiamo tutto”, può sentirsi più vicino a chi soffre a Gaza. L’effetto è l’opposto: fastidio, diffidenza, distanza.

La scelta del caos

Cortei esagitati, sedi politiche devastate, slogan contro il governo. È questo l’aiuto a Gaza?

Eppure sindacati e partiti di sinistra hanno deciso di recitare questo copione, trasformando un tema drammatico in pretesto politico. Sciopero ovviamente sempre di venerdì, già dichiarato illegittimo dalla Commissione di Garanzia perché senza preavviso.

Chiediamoci perché. Non si costruisce empatia così, né si favorisce il dialogo: si divide l’opinione pubblica, si alimentano rancori e si offre visibilità ai soliti noti che da anni si riciclano dietro bandiere ideologiche, presentandosi come studenti o attivisti “puri”.

La questione palestinese meriterebbe un dibattito serio, sobrio e condiviso, basato sulla ricerca di pace e sul sostegno umanitario. Invece assistiamo a piazze che scelgono il caos come linguaggio e la propaganda come fine ultimo. Non si parla di aiuti concreti, né di mediazioni, ma solo di blocchi, cortei e slogan urlati.

Il vero obiettivo

Il risultato è un déjà-vu: le stesse strategie già viste in passato, ora riproposte con un unico obiettivo, colpire il governo Meloni. Un esecutivo che rappresenta chi lavora, chi viaggia ogni giorno sui mezzi pubblici, chi con sacrificio manda avanti la famiglia e non vuole restare ostaggio di proteste trasformate in teatro elettorale.

Il finale è scontato: nessuna conquista reale, nessun passo avanti per la pace. Restano invece divisioni, disagi e il sospetto che la causa sia stata usata più per fare politica interna che per aiutare chi vive sotto le bombe.

Antonella Gramigna – Atlantico Quotidiano