“Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino”. Così Silvia Romano, nonchè Aisha, come vuole farsi chiamare ora, la volontaria milanese rapita in Kenya e liberata lo scorso maggio dopo un anno e mezzo di prigionia, ha raccontato nel corso di una intervista i mesi della prigionia e la sua conversione all’Islam.

“Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo l ‘altissimo poteva aiutarmi e mi stava mostrando come. La fede ha diversi gradi e la mia si è sviluppata con il tempo. Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima”. E poi aggiunge che quando esce di casa  sente “gli occhi della gente addosso, non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio. Per me il mio velo è un simbolo di libertà”.

Aisha si sente quindi libera… peccato che in alcune parti del mondo le donne – considerate meno di niente – sono invece costrette a indossarlo quel velo e se solo accennano a volerselo togliere vengono lapidate.

Ora nonostante il pubblico ludibrio al quale le prestigiose firme del giornalismo italiano additano chi esprime qualche riserva sul comportamento della giovane convertita all’Islam mi permetto di esporre un modesto concetto.

Ammesso e non concesso che durante i diciotto mesi di carcerazione la signorina sia stata sottoposta ad ogni vessazione psicologica e fisica, se il suo rilascio (per cortesia non parliamo di liberazione) era vincolato alla clausola di rinnegare la propria religione, aderire all’Islam, indossare l’uniforme imposta alle donne della fazione terroristica, bene non possiamo che esserle vicini con grande considerazione.

Resta il fatto però che la ragazza scendendo la scaletta del jet e nelle sue immediate dichiarazioni si sia lanciata in vistosi apprezzamenti nei confronti dei suoi sequestratori per come era stata trattata manifestando la volontà di tornare quanto prima.

Bene, se la gabbana che le hanno imposto i suoi carcerieri fosse stata l’ultimo affronto dovuto pagare alla sua incolumità, Aisha-Silvia avrebbe avuto la possibilità, prima dell’atterraggio, di levarsela da dosso, ritornare in abiti occidentali visto, oltretutto, che si trovava su un velivolo italiano e quindi sul territorio della sua nazione.

Avere scelto, invece, di lanciarsi nell’immediatezza del suo drammatico ritorno a casa in vasti apprezzamenti per il mondo che l’aveva segregata a lungo l’ha resa consapevolmente un’attivista del movimento terrorista da cui era appena scampata a caro prezzo per i contribuenti italiani.

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Una sua scelta ovviamente, così come è una nostra scelta giudicare serenamente un comportamento lesivo della nostra dignità nazionale, ammesso che ne sia rimasta una, dopo la parata governativa all’aeroporto che è apparsa in verità come una presa in giro ai danni dell’Italia da parte dei taglia gola dell’Isis.

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 10-05-2020 Roma, Italia PoliticaIl Presidente del Consiglio Giuseppe Conte accoglie Silvia Romano al suo arrivo a CiampinoDISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Auguriamo a questa Silvia-Aisha tutto il bene possibile, ma non possiamo nascondere che il suo comportamento ci ha lasciati senza parole.

Speriamo che presto si ricongiunga con il suo amore somalo, ricoperto di soldi italiani alla faccia di chi, nella penisola, sta soffrendo le pene dell’inferno.

Viva questa Italia…del “ce la faremo (?)”