La Carta ha fallito nel suo principale compito: limitare il potere politico. E sentire glorificarla proprio da chi è rimasto muto mentre accadeva è uno “schiaffo”

Toh, guarda chi si rivede! La Costituzione è tornata la più bella del mondo, “la più bella che si potesse immaginare”, dopo il Biennio pandemico, due anni abbondanti in cui era stata messa in soffitta, calpesta e derisa. Qualcuno ne aveva persino teorizzato la sospensione, come se fosse inevitabile, la cosa più normale in emergenza.

Senza pudore, come se nulla fosse accaduto in questi quasi tre anni di dittatura sanitaria, la Carta è stata disseppellita e portata in trionfo sul palco dell’Ariston dal solito Roberto Benigni, con il suo solito monologo (e chissà quanto ci sarà costato: ricordatevelo quando leggerete la voce canone tv sulla bolletta elettrica) sotto lo sguardo compiaciuto del presidente Mattarella.

Dov’era Benigni?

Chissà perché, però, nessun Benigni, in questi tre anni, a ricordarci le nostre amate libertà, la libertà di non avere paura di esprimere il nostro pensiero. Dov’era, Roberto, mentre lockdown e Green Pass comprimevano diritti e libertà teoricamente intangibili e sanciti dalla Costituzione, gli stessi che oggi declama sotto scroscianti applausi?

Dov’era, mentre alcuni nostri concittadini venivano messi fuori dalla società, chiamati “sorci” cui negare le cure mediche? Troppo facile ricomparire ora, a cose fatte, con tre anni di ritardo, per eseguire il solito comizietto ipocrita.

A quanto pare, per costoro, la Costituzione si può sospendere e calpestare, ma non riformare.

Bella ma inutile

L’articolo 21 ci ha “liberati dall’obbligo di avere paura”? Beh, in realtà anch’esso è arrivato a cose fatte. Gli Alleati ci hanno liberato dal nazifascismo, mentre la Costituzione “più bella che si potesse immaginare” non ha impedito che, pur nel rispetto delle forme, le nostre libertà venissero compresse, sospese, senza che gli organi teoricamente preposti a garantirne il rispetto – presidenza della Repubblica e Corte costituzionale – muovessero un dito. Anzi, ratificando lo scempio.

Gli articoli 3 e 32 non hanno impedito di discriminarci, o di costringerci a vaccinare i nostri figli perché non venissero discriminati, sulla base di un falso assunto scientifico, per una scelta che riguardava la nostra salute, il nostro corpo. L’articolo 13 non ha impedito di rinchiuderci in casa. Gli articoli 1 e 4 non hanno impedito che alcuni di noi venissero privati di lavoro e stipendio. L’articolo 17 non ha impedito di vietare le manifestazioni con una semplice circolare ministeriale, né di sanzionare un uomo per un innocuo banchetto in piazza. L’articolo 21 non ha impedito forme di censura via social.

Certo, niente in confronto a quanto avviene “in Paesi molto vicini a noi”, come Iran e Russia, dove “quelli che pensano liberamente vengono incarcerati o avvelenati”.

La Costituzione ha fallito

Ciò non toglie, tuttavia, che anche qui, diritti e libertà riconosciuti dalla Costituzione siano stati sospesi e calpestati con estrema e preoccupante facilità, nella totale indifferenza di chi oggi li declama dal palcoscenico di un Festival di canzonette e con la formale benedizione del presidente Mattarella.

Non ci stiamo a girarci dall’altra parte, a far finta che in quei 24-36 mesi non abbiamo vissuto “il soffocamento, l’oppressione, l’ingiustizia e la violenza” che la Costituzione avrebbe dovuto evitarci. E no, la colpa non è stata del virus, o almeno non solo di quello: sono state le scelte dei governi.

Alla prima vera prova, la Costituzione ha fallito nel suo principale compito: limitare il potere politico, fermarlo sull’uscio delle nostre libertà fondamentali. E sentire glorificarla proprio da chi è rimasto in silenzio mentre tutto questo accadeva è, questo sì, uno “schiaffo”, uno schiaffo alla pazienza e alla dignità degli italiani.

Meglio Zelensky

Francamente, sebbene a nostro avviso la sua presenza al Festival avrebbe stonato con la drammaticità della guerra, e sarebbe stata forse controproducente per la sua stessa causa, avremmo preferito di gran lunga il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a parlarci di libertà. Se non altro, lui in prima linea per difenderla c’è davvero.

Federico Punzi – Atlantico Quotidiano