Tra divisioni e polemiche tutte interne al Pd assistiamo a un’altra crisi istituzionale che mette a serio rischio il futuro del Governo. La questione riguarda lo scontro tra due fronti: da una parte la linea dura adottata dal ministro dell’Interno Marco Minniti su migranti e organizzazioni non governative mentre dall’altra parte della barricata troviamo la cosiddetta parte “buonista” vicina all’area cattolica dem con i ministri Delrio e Orlando affiancati dal sottosegretario Mario Giro.

L’altro giorno, domenica, il titolare del Viminale è stato chiaro con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni affermando che per quanto gli riguarda l’esperienza di Governo poteva anche considerarsi chiusa. Il motivo? Inutile proseguire, avrebbe detto Minniti al premier, se altri esponenti dell’esecutivo come Graziano Delrio, titolare delle infrastrutture e dunque da lui dipende la gestione dei porti e delle capitanerie, assieme ai colleghi Orlando e al viceministro agli esteri Giro gli tirano alle spalle contestando l’azione intrapresa per le navi delle Ong che ha come obiettivo quello di rallentare il flusso migratorio dalla Libia.

Una presa di posizione certamente condivisibile, quella di Minniti, che ha fatto comunque raggelare il sangue al serafico Gentiloni che si è sentito ancora peggio quando il ministro, per la prima volta in otto mesi dal suo insediamento, non si è neppure presentato a palazzo Chigi lunedì per l’ultimo consiglio dei ministri prima dalla pausa estiva. Certo è che se Minniti dovesse andarsene, sbattendo a ragione la porta, naturalmente, i contraccolpi per il Governo sarebbero senza dubbio pesanti e potrebbero portare dritti alla crisi. Va detto inoltre che Minniti è uomo considerato e apprezzato anche dalle stesse opposizioni e oltretutto sulla spinosa e delicatissima questione immigrazione sta giocandosi il tutto per tutto. E come se non bastasse questa partita va ora contestualizzata nel quadro della missione in Libia che non è da sottovalutare.

Con l’assenza di Minniti al consiglio dei ministri non vi è stato quindi il chiarimento con il collega Delrio tanto auspicato dal premier e di conseguenza le voci di dimissioni si sono via via rafforzate per l’intera giornata. Anche perché si sa che Minniti è rimasto fermo sulle proprie posizioni, ossia è irremovibile su un eventuale inserimento di deroghe al codice di condotta per le Ong emanato dal Viminale. In sostanza il codice è chiarissimo e stabilisce che chi non ha firmato non deve assolutamente attraccare nei porti italiani navi cariche di migranti. Tuttavia, come detto, porti e Guardia costiera fanno parte delle deleghe in mano a Delrio che invece è dell’opinione opposta e insiste che non si possa negare l’accesso ai porti. La scintilla dello scontro si è registrata solo pochi giorni fa quando due unità della Guardia costiera avevano prelevato al largo dalla nave Prudence di Medici senza frontiere (che non ha firmato il codice) 127 migranti, poi fatti sbarcare a Lampedusa. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha fatto saltare i nervi di Minniti. Questi ha fatto intendere che se a non rispettare le regole è proprio qualcuno che fa parte della squadra di governo allora tutto è inutile

E pensare che la politica sull’immigrazione è decisamente cambiata da quando al Viminale è arrivato Minniti. Però in Italia, quando le cose cominciano a funzionare, c’è sempre qualcuno che si mette di traverso.
Una politica, quella adottata dal ministro, che attraverso i contatti diretti con alcuni Paesi del nord Africa e il potenziamento della presenza militare in Libia ha portato a indiscutibili risultati su tutti i fronti. Insomma, è sotto gli occhi di tutti che nel Mediterraneo l’operatività delle Ong ha creato un sostegno umanitario spesso discutibile che in termini pratici agisce in completa autonomia infischiandosene di regole e autorizzazioni dei singoli governi. E ora che Minniti sta cercando di rimettere le cose in ordine viene boicottato dai suoi stessi compagni di partito mentre, ironia della sorte, sindaci del Pd dicono stop all’accoglienza. Non parliamone poi del primo cittadino dem di Codigoro, Alice Zanardi, che ha addirittura minacciato tasse più alte per chi ospita rifugiati. Così la soglia di sopportazione ha superato quella delle forze populiste. A questo punto se Minniti dovesse andarsene chi potrebbe dargli torto?

Tra l’altro non si può neppure dimenticare che la stretta sull’azione di queste navi “soccorso” dovrebbe essere considerata sacrosanta, altro che contrastarla, dopo che i brillanti burocrati dell’Ue hanno girato le spalle al nostro Paese lasciando l’Italia sola ad affrontare l’emergenza migranti. E tra i primi a lavarsene la mani sono stati i francesi, i tedeschi, gli spagnoli, tutte nazioni, guarda caso, da cui provengono quelli che si definiscono volontari a bordo di imbarcazioni “umanitarie”. Inoltre con la svolta Minniti si sta cercando di colpire in qualche modo le scorribande in mare dei famigerati trafficanti. Ma evidentemente a qualcuno questo non piace. Ora viene da pensare che alla fine si traduca tutto in termini di interessi personali, personalissimi, ovvero che ci sia qualche politico preoccupato di perdere consenso nell’area della sinistra radical-chic o in quella vicina alle gerarchie ecclesiastiche e questo renderebbe indubbiamente incerta una rielezione in Parlamento considerando poi che la scadenza elettorale è alle porte.

A questo punto è comprensibile il timore di Gentiloni che per non vedersi sul tavolo le dimissioni di Minniti ha chiesto soccorso al Presidente della Repubblica. E l’aiuto del Colle non si fa attendere e attraverso un comunicato il Quirinale evidenzia apprezzamento sul lavoro svolto dal ministro dell’Interno e dell’importanza del codice di condotta per le Ong. Tuttavia Minniti non arretra e alle più alte cariche dello Stato fa sapere che in mancanza di un sostegno esplicito le dimissioni sono inevitabili. A ruota è arrivato poi Gentiloni che si è schierato a fianco del ministro ricordando che le misure adottate per contrastare il traffico di esseri umani disperati provenienti in particolare dalla Libia cominciano a dare i primi risultati segnando una diminuzione degli sbarchi. Ma questa opera di apprezzamento, di convincimento basterà per convincere Minniti a rimanere al suo posto?