di Enrico Seta

Scrivo senza alcun intento disfattista (ci mancherebbe, con i dati che arrivano!), ma solo perché convinto che la critica serva più che mai in periodi come questo e osservo che da ieri una delle vignette spiritose di maggior successo che circolano sul web (che, ripeto il concetto, convivono con la serietà e la sincerità dell’impegno della stragrande maggioranza degli italiani) raffigura un Conte invecchiato di trent’anni che, con espressione dolente, rivolge agli italiani l’ennesimo appello: “Vi chiedo un altro piccolo sforzo: ancora qualche giorno a casa!”.

E’ una vignetta che scatena il riso di milioni di italiani. Perché? Perché quell’immagine non reale, è invece iperreale. Essa rappresenta l’anima nascosta ma autentica, non di una persona, ma di un’intera azione di governo che si estrinseca in comunicazioni e in atti di regolazione privi di contenuti positivi e quindi privi di ogni vitalità.

Qui il discorso deve toccare il tema della morte e della connessa sofferenza: il lutto.

La morte del proprio simile è pericolosa perché scatena – com’è noto – anche dinamiche di identificazione con le parti “morte” di ciascuno di noi (sia come individui, sia come comunità). Il tema, infatti ha sempre interessato sia gli antropologi che gli psicologi. Ma molto prima di loro, i filosofi.

Nessuna pretesa di avventurarmi per questi sentieri. Mi limito ad osservare –sulla base della personale esperienza di vita – la radicale differenza fra dolore e atteggiamento luttuoso. L’atteggiamento luttuoso, ne sono convinto, è un segnale evidente (a volerlo cogliere) dell’avvenuta identificazione. Quell’uomo – o quella comunità – che di fronte alla morte reagisce con un atteggiamento luttuoso (cioè artefatto) è stato colpito dall’identificazione. Sta elaborando il lutto in senso regressivo: facendosi diffusore, a sua volta, di una morte fantasticata. Insomma è stato contaminato.

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Venendo agli atti in cui si estrinseca l’azione di governo, osservo due cose:

  • da un lato il torpore in cui si estrinseca il cosiddetto “modello italiano” di contrasto dell’epidemia,
  • dall’altro la completa estraneità al tessuto produttivo del Paese, se non la sua ostilità (di questo viene evidenziata quasi solo la pericolosità ai fini del contagio).

Su primo punto: ci piovono sulla testa misure progressivamente restrittive che seguono una dinamica inerziale di diffusione “a macchia d’olio”. Solo ieri i giornali riportavano di una iniziativa (ma ancora “se ne discute”) volta a monitorare con strumenti digitali gli spostamenti dei positivi, laddove in Corea e a Taiwan questo approccio è stato adottato praticamente dall’inizio del contagio. Per motivi familiari sono ben informato su come si vive in questi giorni a Taipei: alla completa apertura di tutte le attività si associa un rigoroso controllo della temperatura all’ingresso di ogni negozio (con immediate conseguenza, ben codificate, a seguito della rilevazione di una temperatura corporea anomala), obbligo – rispettatissimo – delle mascherine in tutti i luoghi di assembramento, diffusione ampia dei tamponi e tracciatura (attraverso gli smatphone e le carte di credito) di tutti gli spostamenti dei positivi e di coloro (pochi) su cui incombe l’obbligo di quarantena (anche qui in base a protocolli rigorosi).

Capisco che Taiwan non è l’Italia. Ma queste cose stanno su internet da settimane e le nostre task force sembra ne abbiano preso coscienza solo ieri. C’è una vischiosità, un torpore, davvero incredibili.

Sul secondo aspetto mi limito a rinviare ad un articolo da me pubblicato alcuni giorni fa su questo sito ( CLICCA QUI )e ad un altro articolo di Gaetano Caputi che sviluppa in modo molto più completo di me lo stesso tema ( CLICCA QUI ).

Decreti che sembrano non conoscere l’economia del nostro paese (ma forse nessuna economia basata sul libero mercato). Alle imprese viene detto che si “rinviano” alcuni obblighi fiscali, ma tale rinvio presuppone un momento (fra l’altro ravvicinato) in cui i pagamenti (anche arretrati) andranno fatti. Ma queste imprese saranno state – nel frattempo – a fatturato -80%, se non zero, con costi fissi che intanto corrono. Come recupereranno i margini necessari secondo il Governo?

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Ma soprattutto non si considera una fetta enorme della nostra economia, fatta da piccole o microimprese (si pensi a tutto il settore delle case-vacanza, che ormai rappresenta buona parte dell’economia romana) sottofinanziate, poco efficienti, il cui bilancio è fatto in gran parte di debiti con fornitori e PA e crediti non riscossi (spesso con la stessa PA), che spessissimo sono a cavallo fra “formale” e “informale” ma che danno da mangiare a centinaia di migliaia di famiglie. Che fine faranno? Ma forse il MEF non ha tempo per porsi questo obiettivo. Troppo impegnati a studiare qualche nuova norma antievasione.

Incredibile poi è il numero e la varietà degli adempimenti a cui occorre sottoporsi per accedere alle (poche e spesso risibili) misure di sostegno. Insomma, tutta l’azione di governo sembra un invito a non pensarci. A vivere con serenità questo periodo eccezionale.

A me sembra che questo invito pressante a stare a casa – accompagnato da espressioni premurose e anche tenere per la salute di ciascuno di noi – assomigli invece tremendamente ad un invito a dedicare più ore al sonno. A pensare il meno possibile a cosa accadrà dopo.

E qui concludo il mio disperato segnale d’allarme tornando al tema accennato del morto che contamina il vivo: questi atti sembrano alludere ad un futuro (il dopo-epidemia) in cui il nostro sonno potrà in effetti prolungarsi perché il sonno di molti italiani (sempre di più, ogni giorno di più) è popolato di sogni. E fra tutti i sogni quello che ricorre più spesso è un’estensione del reddito di cittadinanza. Che potremmo ribattezzare “reddito di un’Italia curata, unita e solidale, rinnovata e finalmente buona”.

Perché questo scritto non venga frainteso, preciso che:

  1. alcune delle scelte delle istituzioni delle ultime tre settimane (ma non tutte) sono state necessitate, soprattutto sul piano sanitario. Da qui a proporsi come “modello italiano” però ce ne corre (come ho già scritto!); tanto meno esibirei complimenti di circostanza provenienti da fonti sospette;
  2. la vera crisi di vitalità è dell’intero stato italiano e della intera classe politica ed ha quindi origini non recenti;
  3. la mia preoccupazione è rivolta – soprattutto – al futuro e alle misure economiche. E nasce dalla combinazione di grave crisi economica e presenza (ormai diffusa) dei grillini nei gangli del potere italiano.