Il presidente della Repubblica lascia il Colle acclamato come un padre della Patria. Eppure di errori ne ha fatti fin troppi. Ha protetto ministri deboli, come Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, ha negato il ritorno alle elezioni e non ha fatto pulizia nel Csm

(Maurizio Belpietro – laverita.info) – Il discorso di Sergio Mattarella è stato accolto da forze politiche e giornali come i precedenti, ossia tra gli applausi. Del resto, questa è la prassi adottata a fine anno con ogni presidente. Da Oscar Scalfaro a Carlo Azeglio Ciampi, da Giorgio Napolitano all’attuale inquilino del Quirinale, le frasi che il capo dello Stato pronuncia il 31 dicembre a reti unificate sono, per tradizione, sempre seguite da un’iperbole di commenti, tutti inevitabilmente entusiastici. In questo caso, visto che il presidente della Repubblica entro poche settimane lascerà il Colle, non poteva che esserci un sovrappiù di parole e aggettivi e un eccesso di retorica.

Ma spenti i televisori e asciugata la saliva con cui la stampa e gli onorevoli sono soliti avvolgere ogni discorso quirinalizio, dato che quello di Mattarella più che un messaggio di fine anno è stato soprattutto un saluto di fine mandato, forse senza indulgere nelle enfatizzazioni di certi giornali sarà il caso di tracciare un bilancio del settennato.

Cominciamo con il dire che l’inizio non è stato dei più promettenti. Con un colpo di mano Matteo Renzi, all’epoca al massimo del suo potere, strappò il patto del Nazareno per imporre Mattarella. Nei piani dell’allora presidente del Consiglio, l’ex dc di area sinistrorsa doveva essere il pupo perfetto da manovrare durante i giochi di Palazzo. Come si è visto, sbagliò clamorosamente i suoi conti, perché il neo presidente era sì un uomo di poche e misurate parole, ma da buon democristiano sapeva come fregare anche i presunti amici. Risultato, quando il leader di Italia viva perse la sfida per rottamare la Costituzione, invece di sciogliere le Camere, Mattarella assecondò il desiderio di Renzi di farsi sostituire da un uomo in grigio come Paolo Gentiloni, lasciandogli credere che quello dell’ex ministro degli Esteri sarebbe stato un esecutivo a termine, per poi tirare diritto. E questo, diciamo, è stato un bene, perché le nuove elezioni probabilmente avrebbero consegnato la maggioranza del Parlamento proprio al premier dimissionario, con quello che ne sarebbe seguito. Certo, tenere in piedi Gentiloni, con Renzi che gli tirava i calci (ricordate la mozione di sfiducia del Pd contro il governatore di Bankitalia reo di non aver assecondato i desideri bancari del Bullo?) e il Paese che avrebbe voluto fare altrettanto, non fu facile, ma due ex esponenti della Balena bianca come Gentiloni e Mattarella trovarono il modo.

E qui arriviamo alle elezioni del 2018, che a sorpresa restituirono un Parlamento balcanizzato, con il Pd al minimo storico, i 5 stelle e la Lega al loro massimo. Nessuno si aspettava un ribaltone del genere, anche perché la legge elettorale, il Rosatellum, era disegnata su misura per facilitare il gioco di Renzi il quale, anche senza maggioranza, contava di governare con il soccorso di Forza Italia, ripristinando il patto del Nazareno. Nessuno credeva neppure in una convergenza fra pentastellati e leghisti e probabilmente il primo a esserne stupito fu proprio Mattarella. Il quale si diede da fare per rendere un percorso a ostacoli la nascita del nuovo governo. Ricordate il no ad personam nei confronti di Paolo Savona al ministero dell’Economia e i veti posti sugli altri papabili? A un certo punto, rispedite al mittente le richieste di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini, il Quirinale tirò fuori quello che doveva essere l’asso nella manica, ovvero il governo tecnico affidato a Carlo Cottarelli. Un passo falso, che appena fu chiara la contrarietà dei partiti a sostenerlo, fece ballare perfino lo spread, al punto che il presidente della Repubblica fu costretto a rimangiarsi in fretta e furia l’incarico, rimettendolo nelle mani di uno sconosciuto Giuseppe Conte. Con queste premesse, la vita del governo gialloverde è stata sofferta e probabilmente non era ipotizzabile se non così. Tuttavia, il meglio (o il peggio, decidete voi), il capo dello Stato lo diede nel 2019, ai tempi del ribaltone, quando accettò che Conte potesse continuare a fare il premier di un governo di segno opposto al precedente, con il Pd, cioè il partito bocciato dagli italiani, in maggioranza. Come sia stato possibile assecondare le giravolte è un mistero, ma sta di fatto che, invece di sciogliere le Camere, Mattarella ha sciolto ogni dubbio, accettando le richieste di Conte e compagni. A dire il vero, il capo dello Stato ci ha messo del suo, imponendo alcuni ministri di fiducia, che ricordiamo qui per non
dimenticare le sue responsabilità. Tra gli sponsorizzati, segnaliamo Luciana Lamorgese, che nonostante i fallimenti sul fronte dell’ordine pubblico e della gestione dell’immigrazione ha goduto e gode di una totale protezione del Quirinale. Insieme a lei, a beneficiare delle grazie del capo dello Stato non si può dimenticare Roberto Speranza, il quale, pur avendo dimostrato il non saperne nulla, continua a occuparsi della nostra salute. Già questo basta e avanza per evitare di accodarsi al coro di elogi che nelle ultime ore risuona in tv e sui giornali. Tuttavia, se si avesse qualche dubbio, ricordo la disastrosa gestione del caso Palamara e la mancata decisione di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura, di cui Mattarella è presidente. Lo scandalo emerso dalle intercettazioni predisposte sul telefono dell’ex presidente dell’Anm dimostravano che le nomine ai vertici delle Procure erano frutto di un accordo fra le correnti e la politica. Un inquinamento che avrebbe dovuto indurre il capo dello Stato a un repulisti generale. Invece, le pulizie riguardarono solo pochi soggetti, per giunta i più moderati, ignorando tutti gli altri. Risultato, non avendo sciolto il parlamentino delle toghe, Mattarella lo ha consegnato alla sinistra, sebbene alle elezioni delle toghe avesse vinto la destra. Un regalo ai compagni, che da allora, e anche adesso, hanno potuto ridisegnare il potere dei tribunali. Perché il Colle non abbia voluto spendere due parole per mandare a casa il Csm e imporre nuove regole è inspiegabile: quella era un’occasione unica per raddrizzare la barca della Giustizia, ma incredibilmente Mattarella se
l’è lasciata scappare.

In compenso, il capo dello Stato non si è fatto sfuggire l’occasione di piazzare Mario Draghi a Palazzo Chigi. Non si sa se per danneggiarlo o favorirlo. Sta di fatto che, dando l’incarico all’ex governatore, il presidente ha dato il via libera al quinto esecutivo del suo settennato, rispondendo picche ai partiti che chiedevano di ritornare alle urne. Cioè rifiutando, con la scusa dei contagi, di restituire la parola agli italiani.

Da ex giudice della Corte costituzionale, Mattarella non ha neppure sentito il bisogno di richiamare i governi al rispetto delle prerogative parlamentari, cioè alla discussione e al voto dei singoli provvedimenti. Dai Dpcm di Conte in poi, tutto è diventato legge con il benestare del Quirinale ed esautorando di fatto il Parlamento. Con Draghi è stato anche peggio, perché mai una manovra finanziaria, oltre a essere approvata a colpi di fiducia, era arrivata negli ultimi giorni dell’anno, senza possibilità alcuna di discussione o di revisione.

In pratica, con la scusa dell’emergenza, il giurista del Colle ha dato via libera a ogni provvedimento, digerendo senza troppi disturbi anche ciò che è in conflitto con le prerogative parlamentari. Colpa del Covid, replicano i quirinalisti, cioè gli adepti di quella specie di setta giornalistica che registra anche i sospiri del presidente. Di fatto, dall’alto della sua esperienza, e soprattutto del suo ruolo, Mattarella ha contribuito in maniera determinante allo smantellamento della repubblica parlamentare, per sostenere quella presidenziale. Una scelta forse necessaria, ma che sarebbe stato normale fosse fatta dagli italiani e non dall’italiano più alto in grado. No, ogni volta che si è trovato al bivio, il presidente non ha imboccato la strada migliore, ma quella più facile, quella che gli dava meno noia. Dunque, visto che tra qualche settimana il settennato si conclude, noi, a differenza della stampa umida di saliva, non avremo nessuna nostalgia dell’inquilino del Colle. Anzi: abbiamo nostalgia dei tempi in cui il presidente faceva il presidente, senza cioè interferire con altri poteri. Il capo dello Stato dev’essere una garanzia, ma se il suo cuore batte a sinistra che garanzia è?