Il Parlamento di Ankara ha approvato la mozione che autorizza l’invio di militari turchi in Libia, come richiesto dal governo del premier libico Fayez al-Serraj. Lo ha riferito l’agenzia di stampa ‘Anadolu’.

ERDOGAN-m

L’obiettivo della mozione, sostenuta dal partito del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, è quello di rafforzare la presenza militare a sostegno del governo di accordo nazionale per fermare l’avanzata dell’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, impegnato da aprile in un’offensiva per prendere il controllo di Tripoli.

Ma vediamo a come si è arrivati a questo punto: lo scorso 12 dicembre il mareciallo Khalifa Haftar ha annunciato la tappa finale dell’offensiva dell’Esercito Nazionale Libico su Tripoli. Secondo il portavoce dell’LNA Al-Mundhir Al-Khartoush le loro truppe avevano “fatto progressi eccellenti” nella lotta per la capitale. Il Governo di Accordo Nazionale (GNA) con sede a Tripoli, riconosciuto da ONU e UE, ha formalmente chiesto supporto militare ad Ankara per contrastare l’Esercito Nazionale Libico (LNA). Si tratta di supporto militare aereo, terrestre e marittimo per respingere l’offensiva sulla capitale libica.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, rispondendo alla richiesta di Tripoli, aveva fatto sapere che il Parlamento avrebbe dovuto discutere la mozione sull’invio di un contingente militare nella capitale libica.

Al momento in Libia sono attivi due governi: il GNA di Faez al Serraj, sostenuto dall’ONU e dall’UE a Tripoli, ed il governo di Abdullah al-Thani, sostenuto dall’LNA, comandato dal maresciallo Khalifa Haftar. Il 4 aprile, il maresciallo Khalifa Haftar ha ordinato alle sue forze di lanciare un’offensiva contro la capitale per “liberarla dai terroristi”. Le unità armate fedeli al governo di Tripoli hanno annunciato l’inizio dell’operazione di risposta “Vulcano di rabbia”. Secondo l’OMS, il bilancio delle vittime negli scontri ha superato le 450 persone, mentre sono più di 2100 i feriti.

Intanto si registrano le reazioni al via libera all’azione militare.

L’Egitto condanna, nei termini più forti il passo del parlamento turco con cui è stato deciso di inviare forze turche in Libia. Il Cairo come noto appoggia il generale Khalifa Haftar che da aprile sta cercando di conquistare Tripoli innescando un conflitto che finora ha causato la morte di migliaia di combattenti dei due schieramenti e più di 280 civili, secondo stime Onu. Il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi ha presieduto il Consiglio per la sicurezza nazionale che ha valutato gli attuali sviluppi della crisi libica e le crescenti minacce di un’interferenza militare straniera in Libia. È quanto riportano i media egiziani. La riunione si è conclusa con la definizione di una serie di misure per contrastare ogni minaccia alla sicurezza nazionale egiziana, stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Mena.

Abbiamo sottolineato in varie occasioni, l’ultima è stata il 23 dicembre scorso, che non esiste una soluzione militare per il conflitto in Libia”. Lo afferma uno dei portavoce del servizio di azione esterna dell’Unione europea interpellato a seguito degli sviluppi in Libia e dopo l’ok del parlamento turco all’invio di truppe. “L’Ue ribadisce a tutte le parti interessate il suo appello a cessare tutte le azioni militari e riprendere il dialogo politico”, prosegue il portavoce. “Il voto del parlamento turco sulla Libia aumenta le tensioni in un quadro già drammatico. La missione Ue proposta dall’Italia è sempre più importante per chiedere a tutti gli attori di rispettare l’embargo Onu, far tacere le armi, ridare voce alla politica”. Lo scrive su Twitter la viceministro degli Esteri Marina Sereni dopo il varo della mozione che autorizza Ankara a inviare truppe in Libia.

Anche la Lega araba condanna la decisione del parlamento turco che autorizza il presidente a inviare forze in Libia: lo riferisce un banner della tv pubblica egiziana. La Lega araba afferma il proprio sostegno alla soluzione politica in libia attraverso l’attuazione dell’accordo di Skhirat, riferisce ancora l’emittente riferendosi all’intesa del 2015.