Il Decreto Cura Italia (18/2020) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. 127 articoli, oltre 500 commi.

Rappresenta il risultato di uno sforzo che deve certamente essere stato intenso poiché ha coinvolto l’intero apparato dello Stato (quasi tutte le sue articolazioni sono interessate dalla norme, incluse un paio di autorità indipendenti di garanzia). Reca, inoltre, un notevole impegno finanziario.

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Sotto questi due profili, ha caratteristiche simili ad una vera e propria manovra finanziaria.

La gran parte delle norme contenute però ha natura profondamente diversa che possiamo – in prima battuta – classificare in 4 categorie:

  1. In primo luogo, moltissime delle norme del DL 18 sono “a scadenza”. La scadenza dipende dalla materia normata e quindi varia. Ad esempio la scadenza coincide con l’anno solare (quindi fine 2020) nel caso di norme che recano stanziamenti straordinari; in molti altri casi la scadenza è più ravvicinata: 15 aprile – per esempio – per la sospensione procedimenti giudiziari (artt. 82, 83 e 84) o per la sospensione termini procedimenti amministrativi (art. 103); 30 aprile per la sospensione di alcuni tributi (es. tassa di ancoraggio: art. 92) o godimento di benefici (es. art. 47, comma 2, secondo il quale – fino a quella data – “l’assenza dal posto di lavoro da parte di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non può costituire giusta causa di recesso dal contratto di lavoro”).
  2. Molte norme consistono poi in una massiccia distribuzione di finanziamenti o in acquisizioni straordinarie di materiali, assunzioni e arruolamenti straordinari (praticamente tutti gli articoli del Titolo I, Potenziamento dei servizi sanitari, ma non solo) o addirittura requisizioni di beni mobili (es. art. 6)
  3. Il terzo aspetto caratteristico di questo decreto è l’altissimo numero di deroghe. Solo questo tema meriterebbe un censimento e una analisi ravvicinata poiché esso configura una sospensione del diritto comune di ampiezza e di incisività probabilmente senza precedenti.
  4. Infine, l’aspetto più significativo – e che dà una misura del rilevante impatto sistemico di questo decreto è la combinazione di norme di tipo B e norme di tipo C. Cioè erogazione di finanziamenti, assunzioni di personale, ecc. in deroga a tutte le norme vigenti (sia quelle relative ai concorsi pubblici, sia quelle relative a lavori e acquisto di beni e servizi da parte della PA).

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Ebbene, l’alto numero e l’alto impatto finanziario di questo genere di norme pone – a mio parere – un primo problema di concentrazione di potere enorme nelle mani dell’attuale governo. Si veda ad esempio, l’art. 2, comma 1 dove una formulazione assai generica (“utilizzando graduatorie proprie o approvate da altre amministrazioni per concorsi pubblici, anche a tempo indeterminato”) lascia intravedere rischi di totale discrezionalità nelle assunzioni massicce di personale. O l’art. 75 laddove si apre la strada ad acquisiti a pioggia di materiale informatico da parte delle amministrazioni pubbliche, in totale deroga ad ogni normativa.

Questa concentrazione non è – fra l’altro esente – dall’ulteriore rischio dell’incentivazione di pratiche spartitorie. Ad esempio, già ad una prima, veloce, analisi dell’articolato risultano fortemente sospette disposizioni come quelle recate da alcuni gruppi di articoli fra i quali si intuisce un implicito collegamento: art. 72 (dove si finanzia in modo considerevole e, ovviamente in deroga a tutte le tutele normative vigenti, una “campagna straordinaria di comunicazione del Ministero Affari esteri), gli art. 89 e 90 dove si istituiscono dei “fondi emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo” e artt. 100 e 101  dove si erogano genericamente fondi destinati alle “straordinarie esigenze” di università, istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e degli enti di ricerca.

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Se a quanto appena rilevato si aggiunge che le norme entrano direttamente in vigore (si tratta di un decreto legge) e che l’esame parlamentare sarà un puro pro-forma (fra l’altro anche per la quasi nulla funzionalità delle Camere) ne emerge un quadro davvero preoccupante di concentrazione di potere.

E’ necessario -a questo punto – porre ancora una volta una domanda che era stata già posta in interventi precedenti su questo sito web: non sarebbe stato molto più opportuno che a gestire questa fase dell’emergenza fosse un “governo di unità nazionale”, nel quale, per lo meno, sopravvivesse una forma (interna) di controllo del potere esecutivo? Una forma certo straordinaria, ma comunque efficace?

Gli esponenti dell’attuale maggioranza reagirono con stizzita gelosia (o con sarcasmo) a chi ventilava questa ipotesi (un’intervista dell’On. Giorgetti); gli esponenti dell’opposizione non sollevarono con serietà il problema; il Quirinale tacque.

Oggi, noi cittadini, rischiamo di subire – nella nostra quotidianità – gli effetti limitativi della libertà di movimento causati dal (quasi) coprifuoco e quelli di un movimento di 25 mld di risorse pubbliche praticamente fuori da ogni controllo democratico. Quest’ultimo gestito dalle stesse persone (e dagli stessi partiti) che fissano le regole del coprifuoco. Senza voler sottovalutare la serietà dell’emergenza sanitaria, tuttavia il cumularsi di questi elementi non può non suscitare più di qualche riflessione.

Ma l’oggetto di questo articolo non è questo. Non è il decreto 18/2020.

Il tema è di spessore ben maggiore e – per motivi di spazio – viene qui solo enunciato: quello che aspetta il Paese nei prossimi mesi è ben più che un’emergenza sanitaria. Rischia di essere un vero e proprio stato d’eccezione.

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La nostra economia rischia di essere letteralmente travolta nel giro di pochi mesi (o settimane) da alcuni elementi sistemici: della pericolosissima instabilità delle borse ha già parlato su questo sito Mauro Bottarelli ( CLICCA QUI )  con toni tutt’altro che rassicuranti; lo spread è lì che sembra pronto al “grande balzo”. Non parliamo della situazione delle altre economie europee e della instabilità delle stesse istituzioni UE. E, soprattutto, non tocchiamo neanche il tema della distruzione – a causa della chiusura prolungata – di una parte considerevole di quella fragile, sottofinanziata, poco efficiente base produttiva del Paese, che, seppure in un equilibrio precario, ha dato da mangiare fino a due settimane fa a milioni di famiglie. Che fine sta facendo?

“Il Governo sta bene, è unito e tiene la situazione sotto controllo” disse il Presidente del Consiglio pochi giorni fa. Auguriamoci tutti che, nonostante la sua inesperienza, ci abbia visto giusto.

Ed auguriamoci che il nostro Paese trovi un modo credibile per affrontare i tempi eccezionali che ci attendono.

di Enrico Seta – politicainsieme