La decisione del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di dare vita ad  un Comitato di esperti con  “il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive”, merita qualche considerazione.

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Il gruppo, ovviamente subito definito  “task force”, è destinato a sostenere il Governo nel duro impegno di avviare quella che è individuata come “fase 2” dell’emergenza Coronavirus. Ciclo più che delicato. Secondo alcuni, persino fondamentale per il futuro del Paese. Bisognerà fronteggiare ulteriore disoccupazione, chiusura di imprese, calo del Pil e, probabilmente, l’inflazione.

Il comitato è nato certamente all’insegna della ricerca della competenza. Alcuni dei suoi componenti, in realtà pochi, hanno maturato importanti esperienze istituzionali. E’ il caso di Enrico Giovannini, ex ministro, impegnato in uno  strategico lavoro per l’Agenda 2030  sullo sviluppo sostenibile e la lotta a vecchie e nuove povertà.

Molti altri nomi tra i 19 appena individuati sono sconosciuti al grande pubblico, a esclusione dei commissari all’emergenza, Arcuri e Borrelli, tutti giorni in televisione a ragguagliarci sulla situazione.

Viene spontaneo chiedersi, però, come mai non sia lo stesso Governo a trasformarsi in una “task force” di questo genere. Così come ci si potrebbe chiedere perché non sia a farlo il Parlamento, anche se è noto il clima che lo caratterizza. Riflessione confermata dalla lettura di quel che ci sottopone all’attenzione Alessandro Diotallevi ( CLICCA QUI ).

Del resto, credo sia il minimo che ci si debba aspettare da chi è chiamato, in Parlamento o al Governo, a rappresentarci.

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E’ quanto avviene in ogni dove e, seguendo la stampa estera, si capisce che tutti gli altri governi e assemblee elettive sono già, ovviamente, al lavoro per prepararsi ai nuovi scenari.

Viene da chiedersi, allora, se non ci si trovi di fronte all’indiretta sottolineatura dei limiti e di un’ incapacità strutturale di un intero sistema di rappresentanza e di guida. Talmente ampi da dover ricorre a degli “esterni”, di cui alcuni attivi permanentemente all’estero e all’oscuro delle reali dinamiche istituzionali attraverso cui si giunge a rendere effettivamente concreta l’efficacia progettuale necessaria.

Attingendo a questa risorsa di competenze, Giuseppe Conte espone il fianco a chi lo critica da tempo di aver eccessivamente assunto nelle proprie mani la responsabilità esclusiva della gestione della crisi e delle decisioni sul futuro. Anche se, poi, tutto dev’essere condiviso e validato in sede di Consiglio di Ministri e di Parlamento.

E’ evidente che il Presidente del Consiglio, di cui è noto il percorso che lo ha portato  a perpetuare la presenza a Palazzo Chigi, sta dilatando all’estremo il proprio impegno e appaia determinato a lasciare un’impronta personale ben marcata. Nell’assumersi ripetutamente la paternità di tutte le scelte, sta indissolubilmente legando ad esse il proprio futuro politico.

Difficile valutare se si tratti di un’astuta strategia o, invece, di una “forzatura” figlia della particolare stagione politica che egli sta vivendo, e noi con lui.

Lo ha fatto, lo fa, e probabilmente continuerà a farlo, avendo ben chiaro l’equilibrio da mantenere con i 5 Stelle, di cui fu espressione, e il Pd. Vaso di coccio tra altri di ferro, mancante ancora del riconoscimento pieno di una propria leadership nel Movimento 5 Stelle che ha una presenza preminente in Parlamento, prova a gestire autonomamente il proprio futuro, ma senza poterlo proclamare esplicitamente.

Sta lavorando per trasformare un’oggettiva debolezza in punto di forza. Gli riuscirà fino a quando le cose andranno bene e porterà a casa risultati concreti, sia nel contenimento della pandemia, sia sul versate europeo e finanziario.

Poi, il resto è affidato al “fato”, in un Paese in cui chi raggiunge dei risultati viene ringraziato con un benservito. L’Italia appena riunita lo fece subito sperimentare a Quintino Sella.

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Vi sono, poi, gli aspetti istituzionali che riguardano gli esperti appena nominati. In Italia è costituzionalmente riconosciuta la presenza del Cnel, Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro, attraverso l’art. 99 della Carta ( CLICCA QUI ) in base al quale questo organismo “ ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”. Questione, quindi, non di poco conto, giacché il Cnel avrebbe potuto, forse dovuto?, essere investito in pieno della responsabilità di partecipare all’individuazione di un piano di ripresa economica e sociale. Si tratta di un organismo dalla responsabilità costituzionale ben più onerosa di quella riconoscibile ad un meno vincolante gruppo di consulenti.

Il coinvolgimento del Cnel avrebbe potuto, inoltre, attutire quelle insidie ravvisabili in potenziali resistenze provenienti dalle strutture ministeriali. Queste potrebbero vivere questo comitato esterno di esperti come una “diminutio” e, quindi, reagire con le impalpabili, ma non per questo meno sostanziose, frizioni e dissonanze proprie di un apparato pubblico che si sente sottostimato e messo da parte.

Vi è poi da sottolineare nuovamente, ed è questione seria, la completa esclusione del Terzo Settore. Ancora una volta, Stefano Zamagni lo ha appena fatto presente( CLICCA QUI ). E’ accaduto finora nel periodo dell’emergenza e si ripete in vista dell’avvio della fase di ripresa quando, invece, ci sarà bisogno di attingere a tutta la forza e la carica costruttiva e di novità che questo vitalissimo mondo italiano è in grado di esprimere.

Il Presidente Conte è sempre in tempo a rimediare.

di Giancarlo Infante – politicainsieme