Le Dichiarazioni programmatiche del Presidente Draghi al Senato hanno dimostrato di essere improntate ad un orizzonte di largo respiro, pur nell’ambito di un impegno programmatico definito, ma puntuale e nella piena consapevolezza delle difficoltà del momento, sia sotto il profilo dell’emergenza sanitaria che di quella economica e sociale.

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Il Senato ha concesso una fiducia molto ampia, registrando quindici dissidenti nel gruppo Cinque Stelle, che nella sua maggioranza ha concesso un voto favorevole molto stentato, persino non senza nascondere una diffidenza diffusa e dichiarata. Altrettanto sono mancati due voti tra i pochi senatori di LEU, insieme al voto contrario annunciato di Fratelli d’Italia. Una opposizione di quaranta senatori, oltre ad alcune assenze polemiche, dimostrano che non si sono spente le insofferenze dei molti che nostalgicamente ancora rimpiangono il precedente governo Conte, populista e con tendenze autoritarie e dei nostalgici di un clima di contrapposizione radicale. Un esito analogo, anzi con una maggioranza molto più estesa, si è registrato alla Camera con 535 voti favorevoli e soltanto 56 contrari, ma con un dissenso più marcato all’interno del Gruppo del M5S. tali risultati hanno reso evidente che il PD ha commesso un grave errore nel cercare di condizionare l’Esecutivo Draghi dall’interno con una sorta di maggioranza di blocco della sinistra, attraverso la costituzione di un Intergruppo insieme a M5S e LEU, non sufficiente a condizionare il Governo, ma che invece conferma un pregiudizio ideologico fuori luogo.

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Con molta abilità invece Salvini ha dichiarato un sostegno pieno, cogliendo come il Paese ripone nel Governo Draghi una grande fiducia e lo considera una sorta di ultima speranza per uscire da una condizione drammatica che ha procurato morti, ammalati e disperati per un livello di povertà e di caduta del prodotto interno lordo senza precedenti nella storia repubblicana. E’ di fronte a noi una svolta storica, dimostrata dalla rinnovata attenzione dell’Europa e dell’intero mondo occidentale verso l’Italia, che per la prima volta, dopo tanti anni, appare liberata da un ripetuto, ed a volte molto fastidioso, atteggiamento di sufficienza sul piano internazionale.

Si coglie una unanimità di commenti positivi, insieme alla convinzione che il Paese appare in grado di avviarsi verso una fase completamente diversa, come se ne sono viste altre in passato, facendo ricorso a tutta la propria genialità, capacità di sacrificio e di performance dei momenti più difficili, per tornare ad un ruolo da protagonista nello scacchiere mondiale. Certo, tale fiducia è rivolta alla personalità di Mario Draghi, ma in trasparenza si legge la convinzione che un uomo di tale statura non si sarebbe mai lanciato in una simile avventura, se non fosse convinto che ha in mano le carte per sparigliare il gioco miserabile, che ha caratterizzato, nel recente passato, una politica inconcludente, spesso in mano ad un personale inadeguato, finalizzata soltanto alla gestione del potere e dei vantaggi che ne possono derivare. Il suo approdo alla Presidenza del Consiglio cambia il paradigma, proponendosi come l’opposto di Conte, che aveva progressivamente cercato di emarginare il Parlamento, promuovendo Palazzo Chigi come luogo di tutte le decisioni e della gestione del potere, mentre tollerava che i Cinque Stelle distruggessero, uno ad uno, i punti fermi di una società capitalistica, fondata sulla concorrenza, sulla preparazione cultuale, sulla libertà di iniziativa.

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Un disegno volto ad indulgere verso le elargizioni a pioggia, la prescrizione mai, una stretta formidabile rispetto alla libertà individuale ed all’economia di mercato e con la tendenza, già in passato dimostratasi pericolosa, dell’intervento statale ovunque, non solo con risultati disastrosi nella sanità, nella scuola e nell’università, ma protesa nella difesa di retroguardia delle aziende pubbliche, statali, regionali, e principalmente degli Enti Locali, che producono soltanto stipendifici e perdite enormi. Vanno emergendo gli errori eclatanti nei dossier ILVA ed Alitalia ed il disastro della gestione commissariale anticovid di Arcuri.

È arrivato il momento di una svolta ad U perché non c’è più tempo per rinviare, senza decidere. L’alibi della destra contro la sinistra è finito. Ormai è chiaro che si trattava principalmente di una questione di potere, mentre oggi è urgente un serio confronto senza pregiudizi. Per la transizione ecologica, il primo impegno deve essere quello della urgente costruzione di inceneritori di ultima generazione, chiudendo la pagina vergognosa del dominio delle ecomafie e fermando la bomba ambientale della terra dei fuochi e delle discariche in via di esaurimento che scoppiano in Sicilia, determinando problemi igienico sanitari enormi. La carta giocata da Draghi, insieme alla propria competenza, è quella del team di esperti che ha posizionato nei tre Ministeri chiave, Economia, Transizione ecologica, Innovazione digitale.

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A questo punto tutti i ministri, tutte le forze politiche, anziché cercare di boicottarsi e coltivare vecchie rivalità, in considerazione della gravità del momento e dell’opportunità di una grande aspettativa attorno alla figura del Capo del Governo, devono tentare di entrare in partita per un recupero di credibilità per valorizzare il ruolo di ciascuna componente all’interno della coalizione e mettere ai margini chi si ostina ancora, trincerandosi dietro slogan superati e vecchissimi pregiudizi, a non voler comprendere che il clima è necessariamente cambiato. La maggiore responsabilità è nelle mani di Salvini e Zingaretti, che, se vorranno dimostrare di essere uomini di Stato, devono decidere di incontrarsi, concordare le priorità e firmare un reciproco patto di solidarietà a termine. I due partiti detengono la maggioranza, gli altri seguiranno e tanto più i Cinque Stelle manifesteranno mal di pancia e tenteranno di rallentare, mettere bastoni fra le ruote, condizionare, tanto più perderanno consenso e finiranno emarginati.

Lega e PD dovrebbero proclamare una duratura tregua e costringere gli altri soggetti della coalizione a seguirli. Lo farà certamente Forza Italia, che condivide la linea Draghi e che deve sostenerlo con determinazione, pena la sua sparizione, a causa della inevitabile e progressiva uscita di scena del suo fondatore e padrone. Un accordo PD Lega potrebbe trovare facile sponda anche in Italia Viva, coraggiosa protagonista del disarcionamento di Conte e per questo pesantemente punita nella distribuzione degli incarichi all’interno della nuova compagine governativa, che nutre quindi una gran voglia di rifarsi.

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Il PLI ha proposto a tale partito di mettersi all’opera per realizzare un rensemblement, insieme anche agli amici repubblicani, al gruppo di Emma Bonino ed a quello di Calenda, per ricreare, al centro, un’area di ispirazione laica, liberale e riformatrice, che, crescendo, potrebbe in futuro, divenire il perno  dell’equilibrio di una futura maggioranza con l’obiettivo di liberarsi della componente pentastellata, che, coltiva soltanto idee opposte, per quanto confuse, a quello che sarebbe necessario per una solida ripresa, insistendo nei propri subdoli propositi tardo comunisti, infarciti di peronismo.

Dopo la scontata fiducia anche della Camera, il nuovo Governo, nella pienezza dei poteri, potrà perfezionare il piano New Generation EU e partire senza indugio nella realizzazione del proprio programma, sapendo di poter contare non soltanto sulle disponibilità finanziarie necessarie, ma sul sostegno convinto di una comunità nazionale, che non si è lasciata piegare dalle grandi difficoltà dell’ultimo anno ed intende riscattare l’ultimo quarto di secolo  vissuto all’insegna dell’improvvisazione e del populismo, per riprendere un cammino di crescita economica e culturale, unica strada per uscire dalla attuali difficoltà ed evitare di consegnare alle future generazioni un Paese rassegnato al declino.

di Stefano de Luca