Le prime vistose crepe all’interno della coalizione giallo verde sono apparse nell’aspra trattativa per la definizione del documento di Programmazione Economica e Finanziaria. Durante la permanenza di Di Maio in Cina, Salvini aveva ottenuto la modifica della riforma Fornero, che era stata una delle più forti promesse elettorali, ottenendo la cosiddetta quota cento tra età anagrafica ed anni di contributi. Inoltre aveva concordato una riduzione al 15% dell’aliquota IRPEF per le partite IVA con ricavi inferiori a 65.000 Euro, oltre a 10.000 nuove assunzioni per le forze di polizia.

Il vice presidente pentastellato, dopo una riunione tempestosa del vertice del suo movimento, che si era spinto fino a minacciare di non votare la Finanziaria, a sua volta, era riuscito ad imporre al suo recalcitrante partner la introduzione del reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia grillino, festeggiato con uno scorrettissimo festeggiamento dei ministri del M5S sul balcone di Palazzo Chigi, proseguito dai militanti fino alle rive del Tevere. Rischiando le dimissioni del Ministro dell’Economia Tria, il Consiglio dei Ministri aveva deciso di finanziare le riforme aumentando il deficit fino ad un rapporto col PIL di 2,4% nel prossimo triennio.

Di fronte alle reazioni negative dei mercati, che hanno affondato la borsa e fatto esplodere lo spread, nonché alla dura presa di posizione della Commissione Europea, che hanno indotto il Ministro Tria a disertare l’Ecofin, il Governo ha rettificato la previsione, confermando il livello di deficit per il 2019, ma modificando la previsione per i successivi due anni, prevedendo un rapporto deficit PIL inferiore, giustificandolo con una previsione di crescita maggiore. Ovviamente si tratta di semplici cambiamenti delle previsioni, senza alcuna modifica sostanziale della manovra. Successivamente è iniziato uno sgradevole rimpallo di cifre fra Di Maio e Salvini, ciascuno dichiarando che le rispettive richieste comportavano un maggiore impegno finanziario. Questo ha provocato dichiarazioni molto pesanti da parte del Presidente della Commissione Junker e del Commissario Moscovici, con risposte altrettanto offensive.

Da tutto questo si evince che i numeri del DEF sono inattendibili e che si avranno forti scontri in Parlamento e con le autorità europee, che potrebbero aprire una procedura d’infrazione. Si tratta di una finanziaria concepita soltanto per distribuire risorse pubbliche, senza alcun obiettivo riformatore, ma volta a pagare gli elettorati dei due partner, certamente in vista delle elezioni europee della prossima primavera, ma più probabilmente di elezioni politiche anticipate, dal momento che comincia ad evidenziarsi la incompatibilità tra gli obiettivi di Lega e Cinque Stelle.

L’assalto famelico alle finanze pubbliche per elargire mance ai propri elettori da parte dei due soggetti politici alleati di Governo, fa apparire dei dilettanti Pomicino ed i suoi interlocutori di DC e PCI dell’epoca del grande compromesso parlamentare ed ha superato la tracotanza di Renzi con la sua distribuzione di 80 euro al proprio ceto di riferimento. Mentre la nave Italia sta affondando come il Titanic, l’orchestra della coalizione giallo verde continua a suonare sul ponte ed altrettanto si può dire per il Presidente scadente (nel senso che il suo mandato sta per finire) della Commissione europea Junker, che si sta rivelando ancora più inconsistente del suo connazionale Jaques Santer, che nel 1999 ho avuto il privilegio di contribuire a sfiduciare col mio voto in seno al Parlamento Europeo.

Nel breve volgere di un quindicennio due lussemburghesi in una Unione di 28 Paesi, dimostrano che questo piccolo granducato non è altro che una longa manus della Germania. Forse questo è sempre stato evidente, ma oggi, di fronte al declino della Merkel, deve far riflettere, come non può non apparire sospetta la durezza verso il nostro Paese di Moscovici, nominato quattro anni fa da un Partito socialista francese, oggi scomparso dai radar, ma che si trova in sintonia col nuovo Presidente Macron nel continuo attacco all’Italia.
Confidiamo che Salvini si renda conto che il grande successo nei sondaggi potrebbe rapidamente sgonfiarsi di fronte ai problemi che nasceranno dalla certa procedura d’infrazione dell’UE, dal downgrading delle agenzie di rating e dalla constatazione generale che nella manovra non è contenuta una sola vera riforma, mentre non si rinviene il taglio di un solo euro dell’ingente mole di sprechi clientelari della spesa pubblica, per l’intenzione del M5S di attirare l’elettorato allo sbando del PD. Se il proposito è quello di denunciare il patto di programma insostenibile con un movimento di dilettanti pericolosi, tanto vale aprire la crisi subito e riannodare i fili con la coalizione di centro destra, che potrebbe presentarsi vincente alle elezioni anticipate.

di Stefano de Luca – Partito Liberale