Se ne riparlerà in autunno… forse. Il Governo  si arrende sullo ius soli e  mette a ko il segretario Pd Matteo Renzi che aveva puntato parecchio perché arrivasse in porto la legge che garantisce la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Il premier Paolo Gentiloni ha dichiarato che per il momento non ci sono le condizioni per approvare il decreto e dunque si rimanda la partita a fine estate: sbarchi in costante aumento, sindaci di frontiera in rivolta, l’Ue che se ne frega e lascia sola l’Italia e non ultimo le resistenze emerse in alcune forze della stessa maggioranza rendono di fatto il clima incandescente.

Renzi fa buon viso e cattiva sorte ma intanto gli tocca incassare il colpo. Per lui è dura accettare la battuta di arresto visto che della  questione ne aveva fatto un cavallo di battaglia, la colonna portante del suo piano delle riforme che ora torna  nel cassetto. Se la resa dell’esecutivo  viene considerata, almeno apparentemente, positivamente dalle componenti governative l’ala sinistrorsa va all’attacco e punta il dito contro il premier accusandolo di debolezza nei confronti della destra. Tra i più agguerriti Roberto Speranza di Mdp che considera un gravissimo errore interrompere l’iter di approvazione. Del resto i malpancisti ci sono anche dalle parti della maggioranza ma fanno di tutto per nascondere l’imbarazzo per il fallimento su  questa  legge che riguarda la nuova cittadinanza.

Mentre esulta dall’altra parte tutto il fronte dell’opposizione di centrodestra.

L’atteso decreto si è dunque insabbiato ancora una volta in Senato nel giro di un paio d’anni. La Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, nonostante la valanga di emendamenti,  aveva tentato l’anno scorso di accelerare i tempi di approvazione con l’obiettivo di discuterne  in aula prima dell’estate. Ma è naufragato tutto, troppi i rinvii.

Da qui si è arrivati  al “refeRenzi”, il plebiscito referendario dell’ex premier del 4 dicembre. Sbarchi, le rivolte dei territori di confine, gli sbandierati proclami renziani sui  diritti, tutto questo è stato  letteralmente accantonato ancora una volta.

La posta in gioco ara troppo alta: la consultazione popolare altro che ius soli. E in casa Pd sanno bene che l’argomento immigrazione è sempre legato a doppio filo con il consenso elettorale. Insomma, prima gli interessi del partito poi, se c’è tempo, i diritti. In seguito si sa come è andata: per Renzi il suo referendum è stato un completo disastro e a guidare l’esecutivo è toccato al  mite Gentiloni che su ordine del fiorentino si è ritrovato come priorità la legge elettorale per arrivare al voto il prima possibile e accontentare perciò l’ambizioso  capo che vuole tornare al potere rapidamente ma costretto per ora a stare in panchina.  Tra uno stop e un arretramento sembrava quindi che il decreto sulla cittadinanza fosse ormai in dirittura di arrivo, anche se i dem non ci avrebbero pensato un momento ad affossare nuovamente la faccenda per  meri interessi politici, qualora si fosse profilata l’ipotesi di elezioni in autunno.

Tuttavia la questione voto anticipato è naufragata e contestualmente ha riportato al centro del dibattito il problema  ius soli ma nel momento peggiore. Tensioni sociali e scontri tra forze politiche hanno alla fine spinto Gentiloni a rinviare il confronto in autunno… così almeno pare.