“L’Occidente deve innanzitutto prendere atto del fatto che per 20 anni abbiamo condotto una guerra inutile. L’avanzata dei talebani in Afghanistan è una sostanziale sconfitta. Non è un fattore positivo né militarmente, né politicamente”. Stefano Silvestri, analista, già presidente dell’Istituto affari internazionali e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi, discute con Huffpost dell’offensiva dei talebani nei territori che le truppe dei Paesi Nato hanno lasciato. In pochi giorni i talebani hanno conquistato una decina di capoluoghi di provincia e, se le cose non cambieranno, nel giro di un mese arriveranno a Kabul. Era prevedibile un’avanzata del genere? “Da quando erano falliti i negoziati – ci risponde Silvestri – era evidente che avrebbero puntato a una riconquista pura e semplice” che potrebbe avere conseguenze anche per l’Occidente. Anche se, sottolinea l’analista, non nell’immediato. Quello che, però, da subito deve apparire evidente, afferma con chiarezza, è che “la Nato è stata umiliata, perché ha subito le decisioni americane (gli Usa hanno avviato il graduale ritiro già con l’amministrazione Obama, ndr) contando molto poco. Questo dovrebbe far riflettere sui limiti della garanzia americana, soprattutto in certe aree”.

I talebani stanno conquistando, una dopo l’altra, varie aree dell’Afghanistan. Dopo l’inizio del ritiro delle truppe occidentali un’avanzata del genere era prevedibile?

Alcuni lo avevano previsto. Ma era evidente già da quando era stato chiaro che i negoziati sarebbero falliti: i talebani puntavano, puntano, a una riconquista pura e semplice. A prendersi il maggior numero di territori possibile. Quanto questo obiettivo fosse raggiungibile dipendeva dalla capacità che avrebbero avuto le forze armate afghane di contrastarlo. Ma oggi possiamo dire che quelle forze non sono adeguatamente addestrate ed equipaggiate, che hanno una direzione politica debole e quindi non si identificano in una causa precisa. Le truppe dell’esercito hanno paura non solo per loro stessi ma anche per le famiglie. In un quadro del genere, è inevitabile che ci siano le defezioni e che i talebani siano la forza maggiore sul campo. Peraltro sono alleati anche con la criminalità e non è un caso se stanno puntando alle zone più ricche di oppio.

Stando a quanto riporta la stampa internazionale, durante i negoziati che sono in corso a Doha la delegazione del governo afghano avrebbe offerto ai talebani un accordo per condividere il potere. Le pare una strada percorribile?

Mi pare una delle tante ipotesi che si prospetteranno in queste ore. Il punto è che i talebani non hanno alcuna intenzione di negoziare. Le cose potrebbero prendere un’altra direzione solo se cambiassero idea.

Che conseguenze può avere la riconquista di una vasta area del Paese da parte dei Talebani per l’Occidente, e in particolare per l’Europa?

Non vedo, francamente, rischi immediati. L’Occidente deve innanzitutto prendere atto del fatto che per 20 anni abbiamo condotto una guerra inutile. L’avanzata dei talebani in Afghanistan è una sostanziale sconfitta. Non è un fattore positivo né militarmente, né politicamente. Credo che l’Afghanistan resterà un Paese diviso, perché difficilmente i talebani avranno la forza di andare oltre Kabul, nella parte settentrionale, in mano ai signori della guerra.

Potrebbe esserci una recrudescenza del terrorismo?

Il rischio maggiore, per noi ma pure per i talebani stessi, è che ricomincino a offrire protezione ai gruppi terroristici. Ricordiamo che la ragione per cui siamo intervenuti in Afghanistan, subito dopo l’attacco alle Torri gemelle dell′11 settembre 2001, è stata la mancata consegna di Bin Laden da parte loro. Se dovessero garantire la protezione ai terroristi, a quel punto, all’Occidente non resterà che intervenire. Forse non si arriverebbe a una nuova guerra, ma certamente a spedizioni punitive. E per questo anche gli stessi talebani dovrebbero essere prudenti negli eventuali nuovi contatti con i terroristi.

L’avanzata sembra molto veloce. È inarrestabile?

Certamente le truppe del governo afghano non bastano. C’è bisogno del contributo delle forze occidentali, che però se ne stanno andando.

Ci sono già tanti sfollati, senza un tetto, cibo e acqua, che stanno cercando di varcare i confini e che potrebbero dirigersi verso l’Europa. Si ripeterà ciò che è successo con la Siria?

Non credo che si raggiungeranno mai i numeri della Siria, ma certamente dobbiamo essere pronti ad accogliere, almeno una parte di chi arriverà. E soprattutto dobbiamo muoverci, per decenza, per far arrivare in Europa i civili afghani che hanno collaborato con noi e che ora sono in pericolo.

Ettore Sequi, segretario generale del ministro degli Esteri, ha detto che l’Italia si sta muovendo in questo senso e che già 228 afghani, che hanno collaborato con il nostro Paese, sono arrivati qui con le famiglie. Anche la Spagna sta facendo un’operazione simile. Sequi oggi ha dichiarato che l’Italia non accetterà prese di potere violente. Ma cosa può fare concretamente Roma rispetto a questa situazione?

Può certamente far sapere quali sono le nostre scelte, qual è la linea rossa che per noi non si può oltrepassare. Ma per una reazione concreta c’è bisogno di altre forze. Degli Usa, ad esempio, ma non solo. Eppure gli Usa hanno iniziato il ritiro e la Nato è stata umiliata perché ha subito questo ritiro, dimostrando di contare molto poco. Scelte come questa, che hanno ovviamente influenzato gli altri Paesi, indeboliscono le alleanze. E dovrebbero far riflettere, tanto la Nato quanto l’Unione europea, sui limiti della garanzia degli Stati Uniti, soprattutto in alcune aree. Se non vogliamo continuare con questi problemi dobbiamo imparare a contare di più sulle nostre forze. E mi riferisco sia all’alleanza atlantica che all’Ue.

Sempre Sequi ha detto che nel Paese asiatico in questi venti anni sono cambiate molte cose, dal ruolo delle donne al rafforzamento delle istituzioni. Ha definito questi cambiamenti irreversibili, è così secondo lei?

Sull’irreversibilità ho qualche dubbio. Chiaramente gli afghani hanno fatto vari passi in avanti perché sono entrati in contatto con il resto del mondo. Ed è anche chiaro che i talebani vogliano riportarli indietro, a logiche tribali, al fanatismo islamico. La società è cambiata, certo, ma bisogna vedere fino a che punto avrà la forza di opporsi ai talebani. Sicuramente i civili saranno ora meno disponibili a credere a tutto ciò che i talebani dicono, ma non so fino a che punto possono avere gli strumenti per creare un modello alternativo.

Il ministro degli Esteri tedesco questa mattina ha affermato che se i talebani non si fermeranno, l’Afghanistan non riceverà più un centesimo degli aiuti allo sviluppo. Può ottenere qualcosa con questa minaccia?

Si tratta di uno dei tentativi di negoziare. È come dire: “Guardate che se continuate ad agire in questo modo, non ricevere i fondi può essere un limite anche per voi”. Avrà qualche effetto? Io mi auguro che ciò basti, ma ho qualche dubbio.

Federica Olivo – Huffpost