di Domenico Ricciotti

 

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A sorpresa Donald Trump è stato eletto e venerdì 20 gennaio scorso è entrato in carica. Ma quello che desta sorpresa e, sicuramente, preoccupazione nell’osservatore dei fenomeni politici è la manifestazione della crisi di rappresentatività della democrazia, sia in America, sia in Europa.

Contro ogni aspettativa dei sondagisti e dei politologi, Trump ha prima vinto le primarie repubblicane, poi a sorpresa si è imposto nel complicato meccanismo elettorale che lo ha portato alla presidenza USA. Fino a qui tutto normale. Ma quello che dovrebbe suscitare preoccupazione negli osservatori dei fenomeni politici, non è il fatto che un personaggio chiacchierato, tutto sommato scomodo e politicamente scorretto, sia stato eletto e sia entrato in carica, ma il fatto che parte dell’establishment, democratico e anche repubblicano, contesti nascostamente, non solo l’uomo o il personaggio, ma perfino la legittimità della sua elezione, fomentando così la piazza contro il nuovo presidente.

La sconfitta di Hillary Clinton ha lasciato spiazzati i poteri forti che governavano da decenni la più grande democrazia occidentale. La lobby degli industriali appaltatori del ministero della difesa USA, la grande finanza, alleati incidentali con i mestieranti della difesa dei diritti umani e le femministe di seconda mano si sono coalizzati per far vincere il peggior candidato della storia democratica, Hillary Clinton. Ricordiamo che l’ambizioso avvocato dell’Illinois è stato il peggior Segretario di Stato della storia americana, che con la sua incosciente azione ha provocato il caos libico, ha favorito le cosiddette primavere arabe che hanno causato l’estendersi del potere e dell’influenza dell’estremismo islamista, che nulla ha fatto per fermare sul nascere lo sviluppo e l’affermazione dell’Isis, bloccata in questo dai suoi alleati sauditi, che ha agito solo in funzione anti russa, anti siriana e anti iraniana, senza considerare l’affermazione economica e finanziaria della Cina e dimenticando la fragile democrazia israeliana. L’America oggi nel mondo è più debole.

Tutti pensavano ad una affermazione facile del candidato democratico, ma non avevano affatto considerato tre elementi potenzialmente devastanti per il loro progetto: la difficoltà economica della classe media statunitense, il distacco dei lavoratori americani dai sindacati e dai democratici, infine, la disillusione della gioventù americana nei confronti dei politicanti di Washington. La scelta della Clinton significava il trionfo degli interessi di pochi, vestito però con un belletto di egualitarismo solo di facciata. E al momento di decidere, pur vergognandosi di dichiararlo ai sondagisti, il corpo elettorale statunitense ha scelto Trump. Questa scelta è un chiaro segno di protesta, ma è anche un campanello d’allarme per i poteri forti: senza il consenso del popolo è difficile governare una grande nazione come la statunitense. E pur avendo avuto qualche centinaio di migliaia di voti popolari in meno della Clinton, Trump ha trionfato, incassando un numero di grandi elettori che lo ha portato dritto a Capitol Hill.

La democrazia non sarà sicuramente il miglior modo di governare, ma al momento non ne è stato trovato uno migliore. Questo era il pensiero di Churchill. Tuttavia la democrazia ha regole chiare. E negli USA chi conquista il maggior numero di grandi elettori diventa presidente della Repubblica. Eppure, alcuni oppositori di Trump hanno iniziato a metterne in dubbio la legittimità della sua elezione. ”Non è il mio presidente”. “Non mi rappresenta”. Questi sono gli slogan delle manifestazioni anti Trump di questi giorni. Poche centinaia di migliaia di contestatori che si sono riversati da ogni parte degli USA a Washington per marciare su Capitol Hill. Ricordiamo che i cittadini statunitensi sono oltre 250 milioni e, quindi, le manifestazioni sono solo lo sfogo di una frangia ridottissima di irriducibili nostalgici, forse fomentati dai grandi potentati politici democratici (i Clinton) e repubblicani (i Bush), che il voto popolare ha relegato ai margini della politica americana almeno per i prossimi due o quattro anni.

Attenzione! Questo fenomeno, che è accaduto negli USA, è un qualcosa che agita anche la politica europea. E i campanelli d’allarme non mancano: la Brexit, il risultato del referendum in Italia e i populisti europei, che sono un prodotto del moloch eurocratico finanziario e monetario che sta uccidendo l’Unione Europea, che fomenta una risposta antieuropeista. Il tentativo di delegittimare la democrazia occidentale, relegando il fenomeno populistico a mero folklore, trascurando di dare risposte, mentre le direttive e le troike uccidono, oltre al popolo europeo, interi stati, mettendoli in balia di banchieri e finanzieri senza responsabilità, sono una miscela esplosiva che presto nessuno sarà in grado di governare.

La democrazia ha regole chiare e chi vince, secondo quelle regole, deve poi governare. Il corpo elettorale successivamente giudicherà. Nessuno ha messo in discussione la vittoria del PD in Italia che, sebbene con poco più del 30%, ha ottenuto, secondo la legge, la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati. Quella era la legge ed è stata rispettata. Tuttavia, non ho ancora sentito una voce da parte di quelli che hanno vinto, pur avendo ottenuto un ben misero consenso elettorale, invitare i propri amici di oltre oceano ad accettare il verdetto popolare, anzi segretamente anche loro sperano che questo venga rovesciato.

In questo 2017 si voterà in Francia prima e in Germania poi. E il rischio che i populismi escano vincitori, secondo le regole democratiche, è assai elevato. Quindi, o i poteri forti che governano l’economia mondiale cambiano registro, oppure sarà il consenso popolare a strappare questa camicia di forza che soffoca ormai tutto l’occidente.