Sarebbe troppo facile dire che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è impegnato in altro (anche se non si comprende bene in che cosa, e quello che si comprende meglio sarebbe non lo vedesse impegnato). Purtroppo non solo Guardasigilli. Quando si tratta di giustizia e di carcere si contano sulle dita di una mano i ‘non distratti’. Se ci si dà pena di sfogliare le pagine dei giornali dell’ultimo mese, quando se ne scrive e parla, in buona misura si tratta di fuffa. Per dire: secondo l’ultimo bollettino del Garante nazionale delle persone private della libertà dall’inizio dell’anno a oggi ventun detenuti si sono suicidati. Nello stesso periodo erano stati diciotto due anni fa e sedici l’anno scorso. Nessun grande giornale si è dato pena di raccontare la storia di questi ventuno suicidi, neppure il nome fosse solo di battesimo, l’età, perché erano in cella, se condannati e per quale pena; se in attesa di giudizio. Ma nessun parlamentare che si sia dato pena di chiedere lumi e informazioni al ministro, e abbia chiesto di riferirne, sia pure in forma scritta a interrogazione scritta.

Quello che colpisce dai dati del Garante è che in ben tre casi di suicidio si è trattato di persone che avevano appena fatto ingresso in Istituto e collocate in isolamento sanitario precauzionale.

Anche l’ultimo suicidio nel carcere romano di Rebibbia: un detenuto di 42 anni, trovato impiccato. Anche lui in isolamento precauzionale.

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In quali istituti c’è stata più incidenza di suicidi negli ultimi 10 anni: al vertice di questa macabra classifica il carcere napoletano di Poggioreale, con 22 suicidi; ma problematici anche i dati di piccoli come quello di Cagliari con 16 suicidi e una media di detenuti presenti almeno quattro volte inferiore a quella di Poggioreale.

Scivolata tra la generale indifferenza, come se non ci sia mai stata, l’ennesima condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): non basta l’emergenza Coronavirus per ritardare i tempi di un processo. Il caso in questione riguarda il tentativo di separazione di due coniugi, dal quale dipende anche il futuro di un bambino minorenne. Per questo motivo che Strasburgo intima allo Stato italiano di discutere al più presto una causa rinviata di sette mesi. Una decisione che potrebbe portare, in futuro, anche ad una condanna dell’Italia per i ritardi; e che ancora una volta evidenzia lo stato di sofferenza in cui si trova la Giustizia italiana.

Un altro monito, inascoltato, che sembra aver lasciato un po’ tutti indifferenti, quello lanciato da due economisti, Carlo Cottarelli e Alessandro Di Nicola: “Un Paese dove il sistema giudiziario è inefficiente non è un Paese in cui vi può essere la certezza del diritto. E dove non c’è la certezza del diritto l’economia e la società funzionano male”.

Quella di una giustizia efficiente è una delle condizioni che l’Europa ha posto come condizione per l’erogazione delle risorse del Recovery Plan. Una raccomandazione fondamentale, non solo per la società, ma per l’economia. Dicono Cottarelli e Di Nicola: “Un paese dove il sistema giudiziario è inefficiente, dove occorrono anni e anni per ottenere sentenze, non è un paese in cui vi può essere certezza del diritto. E dove non c’è certezza del diritto l’economia e società funzionano male. Il problema della lentezza della giustizia esiste per tutte le sue componenti, amministrativa, penale, civile”.

Si sottolinea che i procedimenti civili, in media, durano in Italia quattro volte in più che in Germania, tre volte in più che in Spagna, il doppio che in Francia.

Concludono: “Ridurre i tempi della giustizia è, insieme alla semplificazione burocratica, la più importante riforma che la nostra economia deve affrontare per rilanciarsi, una volta superata la fase immediata dell’emergenza economica. Ristabilire la certezza del diritto in Italia è essenziale per raggiungere una nuova e migliore normalità”.

Governo, Parlamento, classe politica, come le stelle del romanzo di Cronin, stanno a guardare.

di Valter Vecellio