Campo largo ristretto e diviso. Seguendo la logica di Schlein & Co, sul lavoro a malapena pareggiano i voti del 2022, mentre sulla cittadinanza ne perdono qualche milione

Proviamo a seguire la segretaria del Pd Elly Schlein e il suo braccio destro Francesco Boccia nella loro arrampicata sugli specchi per trasformare l’umiliante sconfitta dei referendum in una spallata al governo Meloni. Facciamo finta di avere delle grandi ventose legate a mani e piedi.

Affermano che i 14 milioni di elettori che si sono recati alle urne domenica e lunedì scorsi per esprimersi sui cinque quesiti referendari (quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza veloce) sono di più dei 12,3 milioni che hanno votato la coalizione di centrodestra alle elezioni politiche del 2022. Questo equivarrebbe ad un “avviso di sfratto” alla presidente del Consiglio, secondo Boccia, mentre la segretaria del Pd ammonisce: “quando più gente di quella che ti ha votato ti chiede di cambiare una legge dovresti riflettere invece che deriderla”.

Innanzitutto, i numeri. Ai 14 milioni che rivendicano come “roba loro” vanno certamente sottratti quegli elettori che – pochi ma ci sono – sono andati a votare “no” ai quesiti sul lavoro. E già così siamo a 12,8 milioni di voti e non a 14. Comparare referendum ed elezioni politiche significa mischiare pere con mele, ma comunque si tratta di appena 500 mila voti in più di quelli del centrodestra e ben 1,2 milioni in meno dei circa 14 milioni che nel 2022 votarono i partiti che dovrebbero far parte del cosiddetto “campo largo”.

Sul lavoro potrebbero essere mancati i voti di Renzi, ok, ma questo dimostra che il campo non è così largo ed è diviso.

Se però si va a guardare il quinto quesito, quello per la cittadinanza veloce, arriva la vera mazzata. Qui a votare “no” è stato quasi il 35 per cento, a votare “sì” 9,5 milioni, ampiamente al di sotto della somma dei voti dei partiti del “campo largo” nel 2022, con o senza Renzi e Calenda.

La sconfitta dei referendari va ben oltre il mancato quorum. Proprio la loro incauta comparazione con le politiche del 2022 dimostra che hanno tenuto a malapena i loro voti nei quesiti sul lavoro mentre ne hanno persi a milioni sul tema della cittadinanza.

Il governo Meloni e il centrodestra però farebbero male a dormire sonni tranquilli, perché il test delle Regionali è dietro l’angolo e quella sarà un’altra storia. Non potranno giocarsela in difesa, dovranno selezionare candidati competitivi – cosa che di recente quasi mai gli è riuscita – consapevoli che l’esito determinerà anche il mood dell’ultima parte di legislatura.

Federico Punzi – Atlantico