Voto largamente maggioritario per Mario Draghi al Senato. Alla Camera non avverrà il contrario. Poi, si tratterà di vedere quanto e come durerà questa idilliaca relazione. Anche alla luce delle cose dette dal Presidente del consiglio che, se da un lato, definiscono meglio i suoi intenti programmatici, dall’altro, potrebbero portare qualcuno a pentirsi di aver deciso di far parte della squadra. Ma oramai il contorsionismo di certi capi partito ci ha abituato ad attenderci tutto il possibile e, quindi, dobbiamo sperare per il meglio.

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Mario Draghi ha indirettamente spiegato il sentimento che lo ha portato ad imbarcarsi in un’operazione su cui potrebbe persino rischiare il proprio possibile passaggio al Quirinale. Ha parlato, infatti, di “responsabilità nazionale”. Quella che richiama alla decisione i singoli, prima ancora che i partiti d’appartenenza. Quella che, fino all’arrivo di Mario Draghi  è sembrata mancare a tutti i partiti presenti in Parlamento. Quella che ha spinto noi a lanciare il Manifesto da cui abbiamo mosso il primo passo per creare il partito Insieme con la richiesta di una trasformazione del Paese.

Alla luce di una responsabilità nazionale si giustificano le frasi finali di Mario Draghi quando parla dell’unità e chiede il voto per un governo come quello appena nato con tutto il carico, persino, di ambiguità celate dentro la base parlamentare di sostegno che si è creata. Draghi è stato chiaro: questo governo non poggia su “ alchimie politiche”, ma nasce perché  sollecitato  dallo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno.

Resta il quesito se le forze politiche saranno in grado di porsi in questa dimensione. E di farsi carico delle stesse assennatezze e coscienziosità richiamate da Draghi, visto che dei primi dubbi sono legittimati da alcune delle tante dichiarazioni che lo hanno accompagnato nel corso del trasferimento dal Quirinale, dove ha ricevuto l’incarico, al Senato, dinanzi al quale ha svolto il suo primo intervento per l’investitura parlamentare.

Il discorso di Mario Draghi contiene ampi passaggi da noi più che condivisibili. A partire dall’intenzione di alzare lo sguardo oltre l’immediato e porsi addirittura di fronte agli anni  2030- 2050 . Da tempo non si sentiva parlare di una prospettiva tanto ampia. Forse, in questo senso, lo sguardo si è alzato meno in relazione a quell’imponente fenomeno mondiale delle migrazioni che, una volta passata la pandemia, rischia di riproporsi in maniera più cogente di quanto non lo sia stato per tutto il 2020. Un prezzo forse pagato in relazione all’allargamento della base parlamentare con l’inserimento anche della Lega di Matteo Salvini.

Scorrendo il discorso di Draghi ci si imbatte in altre parole e frasi chiavi che si aggiungono a quelle utilizzate al momento del ricevimento dell’incarico: pandemia, Recovery fund e coesione sociale. Talune di queste parole e frasi sono probabilmente condivise da tutti coloro che gli stanno garantendo il sostegno, altre meno. In particolare, quelle con le quali ha ribadito di pensare ad un sistema fiscale basato sulla progressività e non quindi sulla flat tax richiesta dal centrodestra, di avere una fortissima  visione europeista e convinta sostenitrice dell’euro in maniera “irreversibile”, altro che il “non si può dire mai” di Matteo Salvini.

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Si è chiaramente capito che quello di Mario Draghi non sarà solo un governo per la gestione dell’emergenza. Sarà anche di riforme. Lo hanno detto tutti i governi arrivati finora, ma nel caso di Draghi il riferimento è alto ed emblematico  perché va direttamente a uno dei padri della Patria: “Siamo consci dell’insegnamento di Cavour:”… le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”.

Per uscire dalla insidiosa discussione in cui taluno ha provato a costringerlo, Mario Draghi è il primo a non dare alcuna etichetta o definizione al proprio esecutivo, perché, ha detto, “è semplicemente il governo del Paese”. In questo c’è un “cavourismo” di fatto oltre quello del riferimento retorico.

Si tratterà di introdurre nuovi elementi nelle lotta alla pandemia sulla base della consapevolezza che esiste la questione della   riforma della nostra sanità e la necessità di puntare su quella territoriale. Questo significa una forte inversione di tendenza rispetto alla visione liberistica e cosiddetta “manageriale” seguita negli ultimi decenni. In parte, significa andare controtendenza rispetto a ciò che i partiti, tutti i partiti, hanno fatto a livello gestionale della sanità nelle regioni.

Il Presidente del consiglio, però, sa benissimo di dover parlare alle forze politiche che lo sostengono in un quadro che resta poco chiaro. Draghi sa bene che il suo futuro è legato alla qualità dell’ unità raggiungibile, ma che non può essere unanimismo di facciata, ipocrita e infido.

Draghi ha bisogno di fugare l’idea che il suo sia un Governo intenzionato a sostituirsi alla Politica. In realtà, noi sappiamo bene come la sua salita al Quirinale nasca sulla base del riconoscimento da parte del Paese, cosa di cui si è fatto interprete Sergio Mattarella, che questa Politica non fosse in grado di andare oltre il quadro di inanità e di degrado che, già prima esistente, è stato definitivamente disvelato dalla pandemia.

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E’ cosa che Draghi ha dovuto negare, ma al tempo stesso ribadire quando ha indicato la necessità di pensare a quella che egli definisce una “Nuova Ricostruzione”. Guarda caso affidata in modo preminente a lui perché altrimenti impensabile se avesse dovuto essere lasciata interamente nelle mani di una classe politica dimostratasi abbondantemente incapace di  avviare alcun impeto di autorigenerazione.

Ciò premettendo, Mario Draghi ha poi dato corso all’indicazioni di altre parole o frasi chiave che diventeranno la verifica di quella responsabilità e di quella unità di cui sopra. I giovani che emigrano e il debito pubblico sono tra le prime da lui enunciate. In  modo da sottolineare la carenza di una risposta a gravi problemi, quali sono quelli della disoccupazione e della mancanza di solidarietà tra le generazioni, il cattivo uso delle risorse di cui hanno dato prova per un lungo recente tempo le classi dirigenti e quei partiti che adesso devono sostenere il suo governo.

Non è un caso che, immediatamente dopo, Mario Draghi abbia ricordato lo sfondo internazionale che sovrasta l’Italia. Rappresentato dall’Unione europea che, con la partecipazione all’Alleanza atlantica, costituisce un bastione della tradizionale, consolidata e continua  collocazione dell’Italia nello scenario mondiale.

Con garbo, ma con fermezza Mario Draghi glielo ha detto a Salvini e ai leghisti : “ Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine”.

Importante l’attenzione di Draghi alla questione della povertà. Lo dimostra lo sciorinamento dei dati forniti dalla Caritas italiana, quelli delle ore  di Cassa integrazione attivate per l’emergenza sanitaria e della diminuzione del numero degli occupati  e quelli sulla disoccupazione, da lui definita “selettiva” che ha colpito soprattutto giovani e donne, ma che “presto- egli ha detto- potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato”.

Definito da molti come l’uomo delle banche, Draghi ha speso, invece,  sue parole sulla questione della “diseguaglianza”e sulla necessità che gli  “interventi pubblici” nella direzione di superare un  sistema di sicurezza sociale “ squilibrato” perché non protegge “ a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi”. L’uomo delle banche ha anche detto: “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”.

Egli, così, ha fornito un’indicazione di massima su  parecchie  transizioni cui intende guardare. Quella della scuola e quella ambientale. Ha ribadito che alcuni modelli di crescita dovranno cambiare e lo ha fatto ricollegandosi al pensiero di Papa Francesco: “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.

Draghi proteggerà i “ lavoratori, tutti i lavoratori, ma a suo avviso sarebbe un errore pensare di proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”. Già e vedremo sulle conseguenti scelte se e come la base parlamentare oggi allargata non tornerà a restringersi. Intanto, il Presidente del consiglio ribadisce di ritenere centrali le politiche attive del lavoro e dell’occupazione, a proposito della quale intende pensare. “ in primis, a quella femminile, in particolare nelle aree del  Mezzogiorno.  L’altra riforma che secondo Draghi non si può procrastinare è quella della pubblica amministrazione.

Affermazioni importanti che sostanziano una prospettiva progettuale di lungo respiro che non può che essere incoraggiata, sostenuta e partecipata.

Resta, però, da verificare se e quando il Governo sarà effettivamente in grado di cominciare ad attuare provvedimenti che sostanziano e concretizzano un tale intento programmatico e se a partire da quel momento  non ci sarà qualcuno pronto a tirarsi indietro per rimettere sul tavolo tante questioni attorno alle quali sono state sviluppate nel corso degli anni proposte politiche non coerenti con quanto indicato da Draghi, se non addirittura antitetiche.

di Giancarlo Infante