Si avverte forte la puzza della codardia e questa volta l’elettorato non gliela farà passare liscia.
Del resto i primi duri attacchi sul dietrofront al Senato sullo ius soli arriva proprio da autorevoli esponenti del Pd.
Tra i primi a gridare la vergogna è il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio che dopo aver appreso la notizia che il famoso ddl sulla cittadinanza neppure è stato inserito nel calendario dei lavori dell’Aula per questo mese di settembre non usa mezzi termini e bolla il tutto come “un atto di paura grave”.
Un giudizio dunque severo, quello del ministro, che apre di fatto un fronte interno al partito che non fa altro che gettare benzina sul fuoco alimentando così la faida nella maggioranza. Dobbiamo considerare inoltre che l’insofferenza espressa da Delrio nei confronti dei diktat del “NazaRenzi” non è cosa nuova. Poco tempo fa l’ex sindaco di Reggio Emilia aveva criticato la linea Minniti sui migranti avvicinandosi di conseguenza a Giuliano Pisapia convinto, quest’ultimo, dell’importanza di approvare la norma sulla cittadinanza prima della fine dell’attuale legislatura. Non solo. Si unisce al coro anche il ministro della giustizia capocordata della minoranza dem, Andrea Orlando che rincara la dose affermando che “non la si deve dare vinta a nessuno. Dobbiamo portare a casa la legge sullo Ius soli”.
Ora questi li potremmo definire interventi a gamba tesa ma fino a ieri erano parole, riflessioni, ragionamenti che venivano esplicitati con convinzione (solo in apparenza, naturalmente) da chi poi ha cambiato improvvisamente le carte in tavola, ossia la compagine renziana. Ci raccontavano, il segretario in primis, che sarebbe stato un errore drammatico dalle gravi conseguenze, quello di non portare in porto una legge di civiltà e diritti. Sarebbe una ingiustizia inaccettabile che avrebbe ricadute pericolose, guai a farsi dominare dalla paura. Dicevano poi che bisognava almeno combattere e non arrendersi alla forze populiste che fanno leva su sbarchi e stupri. Guai a cedere alla violenza, all’odio, al razzismo. Sacrosanto quindi il riconoscimento dei diritti a questi giovani nati nel nostro Paese e che sono di fatto già italiani, parlano i nostri dialetti, giocano con i nostri figli. Insomma, a sinistra tutti convinti che lo ius soli fosse una questione talmente importante che sulla stessa la politica si sarebbe giocata la dignità. Bene, la dignità del Pd è stata quella di fare una retromarcia incredibile, velocissima senza pensarci un attimo a voltare le spalle a coloro che tanto attendevano questa legge.
Il motivo? I capibastone di Renzi accampano la scusa che in Senato non ci sono i numeri e portare ora il provvedimento in Aula significherebbe affossarlo. Ma quando mai il Pd ha avuto la maggioranza? E’ sempre stata una accozzaglia raffazzonata alla bisogna. Persino Verdini ha contribuito a tenere in piedi l’esecutivo traballante a guida Renzi. In realtà il passo indietro del Pd è stato fatto prima di un tentativo vero di trovarli quei numeri necessari per l’approvazione perchè è mancata la volontà di trovare i numeri. Questa è la verità. Ecco perché non si capisce cosa cambia spostare la discussione. A quando poi non si sa. Una presa in giro e basta.
Tantomeno non ha fondamento anche la tesi di coloro che sostengono che la scelta di non andare avanti al Senato, d’intesa con il segretario, dimostra un cedimento alla contrarietà di Alfano sullo ius soli. Balle, Alfano è a capo del nulla e il suo peso politico non si discosta molto dallo zero e oltretutto è famoso per aver sempre fatto quello che Renzi ordina pur di mantenere la sedia. Un campione di onestà intellettuale e di coerenza. Questo è Angelino.
La verità invece è una sola: la faccenda cittadinanza è una battaglia di civiltà, come afferma la sinistra, che il Pd non ha però più intenzione di combattere. Perché? Molto semplice. Renzi teme di perdere consensi in termini elettorali. Il rischio è troppo grosso con le regionali in Sicilia alle porte e le politiche in primavera. Questa è la paura che denuncia Delrio e il resto del partito ormai stanco a inseguire le ambizioni sfrenate di Matteo Renzi disposto a scendere a patti con chiunque pur di tornare a palazzo Chigi.
Poco importa quindi pronosticare se cadrà o no il Governo Gentiloni. Ormai dal fallimento del referendum renziano del 4 dicembre scorso è evidente il vuoto politico, si naviga a vista senza ideali, senza obiettivi in un Parlamento che ha solo il desiderio di sopravvivere a ogni costo. Una miseria che caratterizza questo fine legislatura che ha affossato oltretutto legge elettorale e la tanto declamata questione vitalizi. Un disastro spaventoso e Renzi pagherà il conto. Bersani D’Alema e il resto dei “malpancisti” rimasti nel Pd (tra questi anche il ministro dei beni culturali Dario Franceschini) stanno già affilando i coltelli. Gli elettori faranno il resto.