Scontro sulla revoca della concessione ad Autostrade. Atlantia va all’attacco del governo e chiede il risarcimento del 100% del valore della concessione che ammonta a 23 miliardi di euro.

Autostrade per l’Italia (Aspi) pronta dunque alla battaglia sulla revoca della concessione. Con una lettera indirizzata all’esecutivo e ai ministeri dei Trasporti e dell’Economia la società gestita da Atlantia ha spiazzato tutti mettendo in scacco palazzo Chigi avvisando di avviare le procedure per la risoluzione del contratto… facendosi pagare naturalmente una montagna di denaro. Azione di forza che mette di fatto con le spalle al muro il governo ma soprattutto i grillozzi che a gran voce avevano chiesto la revoca delle concessioni subito dopo la tragedia del ponte Morandi il cui crollo costò la vita a 43 persone. Evidentemente i fedeli del guru genovese non sapevano – ancora una volta hanno dimostrato la loro più completa inettitudine – che la revoca avrebbe avuto dei costi. E che costi!

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In sostanza la società anticipa eventuali mosse del Conte bis presentando il conto: la revoca costerà allo Stato un risarcimento alla società che ammonta al 100% del valore della concessione che si aggira sui 23 miliardi di euro.

Ora diciamo che l’elemento che ha innescato la contromossa di Atlantia è la faccenda inserita nel decreto Milleproroghe attraverso la quale il governo può decidere come e quando ne ritiene necessario il trasferimento del controllo delle strade all’Anas. Un passaggio che metterebbe con le spalle al muro Autostrade per l’Italia che chiede quindi di cambiare la norma. Non sarà possibile? Allora  sarà la stessa società ad avviare la risoluzione del contratto con relative conseguenze che finiranno con il pesare sul governo. Insomma, si preannuncia un braccio di ferro dagli esiti incerti anche per le difficoltà interne all’esecutivo da sempre lacerato da tensioni tra forze di maggioranza.

Mentre il Pd resta a guardare lo scontro maggiore – era del resto prevedibile – si sta consumando tra i grilluti, che da tempo vanno starnazzando di togliere la concessione ad Atlantia, e la squadra di Renzi, Italia Viva, che sulla questione frena insistendo di analizzare con attenzione le conseguenze prima di prendere qualsiasi decisione che al momento appare affrettata.

Inevitabilmente la complicata vicenda ha avuto ripercussioni gravi in Borsa dove Atlantia ha subito un brusco crollo. Il rischio che  Autostrade per l’Italia (Aspi) possa vedersi revocare la concessione senza il reclamato indennizzo affonda letteralmente la società. Mentre la holding della famiglia Benetton è sul piede di guerra e si prepara alla sfida legale con l’obiettivo di scongiurare una misura che decreterebbe il fallimento di Aspi, con impatti devastanti per la stessa Atlantia e le sue controllate.

In soldoni la possibilità che il Milleproroghe apra  la strada a una revoca delle concessioni senza indennizzo – stimato da Mediobanca in 22 miliardi per Aspi – e ne affidi la gestione all’Anas, ha spaventato i mercati mettendo in fuga gli investitori: Atlantia è andata a picco perdendo il 4,85% bruciando 883 milioni di euro. Conti alla mano in caso di revoca Aspi andrebbe in default non avendo le risorse per rimborsare 10,8 miliardi di bond e 7 mila posti di lavoro sarebbero a rischio.

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Come se non bastasse a gettare benzina sul fuoco è il quadro impietoso del sistema delle concessioni autostradali uscito l’altro giorno dall’analisi della Corte dei Conti in cui si evidenzia che su tali equilibri a vincere sono sempre i privati, gli stessi che si assicurano profitti esagerati trascurando, contestualmente, il fronte degli investimenti. Ma non è tutto. La Corte puntualizza inoltre un’altra grave lacuna: i privati si vedono prorogate le concessioni senza gara. E chi ne fa le spese è la collettività. Ricordiamo che stiamo parlando di circa  7mila chilometri di rete autostradale che meriterebbero una gestione oculata, efficiente per garantirne sicurezza. O no?

Consideriamo ancora la severa posizione assunta dalla Corte dei Conti che attraverso un’ampia documentazione ha letteralmente demolito l’attuale sistema delle concessioni, invitando a «trovare un equilibrio tra profitto e interesse pubblico», con il primo che ha avuto fino ad ora la meglio sul secondo. Come detto le concessionarie hanno goduto fino ad ora di rendimenti ingiustificati potendo permettersi «investimenti sottodimensionati ed extraprofitti» grazie a un sistema decisamente inadeguato. In sostanza è giunto il momento di voltare pagina e di mettere le cose in regola garantendo finalmente la sicurezza stradale. Qualcuno in questo nostro sciagurato paese sarà in grado di raggiungere l’obiettivo?

Intanto nella lettera inviata a palazzo Chigi Autostrade per l’italia stigmatizza che l’ipotesi di modificare «ex lege alcune clausole» della convenzione presenta «rilevanti profili di incostituzionalità e contrarietà a norme europee», in relazione ai quali la società «sta valutando ogni iniziativa» per tutelare i propri diritti. Aspi ha avvertito i Ministeri dei trasporti, dell’ Economia e il premier Conte che l’adozione di una norma simile determinerebbe la risoluzione della convenzione (art.9-bis comma 4), facendo scattare il diritto al maxi-indennizzo. Sarà realmente così? Ci saranno margini per trattare? Quali saranno le contromosse dei fenomeni giallorossi?

In tutta questa vicenda che finirà con ogni probabilità nella aule giudiziarie c’è solo una cosa certa: la mancanza di manutenzione stradale è costata la vita a troppe persone. Chi pagherà per questo? Sapremo mai chi sono i responsabili?