di Aldo Cisi, Movimento Politico Italia

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La dr.sa Gaia Scuri del Washinton DC, ci informa che I social network hanno completamente cambiato il modo di ottenere consenso, tanto in politica quanto nelle relazioni personali e nel mondo dei media Si sente spesso parlare di citizen journalism: si tratta di un processo di disintermediazione, nel quale la figura del giornalista non è più indispensabile nella trasmissione delle informazioni, perché chiunque può riportare una notizia sul web.

Anche se, come giustamente osserva Luca De Biase sul suo blog, solo un professionista dell’informazione può fornirci quelle riflessioni a posteriori di un evento che lo vanno ad arricchire anche successivamente. Viene da chiedersi, però, come mai tutto questo avvenga: la risposta sta nel fatto che le persone non vogliono più sentirsi escluse dai processi di costruzione della realtà, né spettatori passivi senza alcun potere decisionale.

È esattamente ciò che sta accadendo nel mondo della politica: si avverte sfiducia nei confronti della politica tradizionale, considerata idealista, piena di luoghi comuni, infarcita di promesse irrealizzabili e lontana dai problemi della vita quotidiana del cittadino medio. Non c’è quindi da stupirsi per il successo riscosso da Donald Trump negli USA. Quest’uomo ha saputo usare i social media in due modi: li ha sfruttati per cogliere l’umore degli individui e capire quali fossero i reali bisogni della gente comune, e allo stesso tempo li ha scelti come arma per scrivere in prima persona e guadagnare consensi.

L’interazione diretta, il linguaggio semplice e non costruito lo hanno avvicinato ai suoi elettori, facendolo sembrare uno che dice le cose come stanno, che non si censura per via delle regole del mondo istituzionale e che, soprattutto, si preoccupa di ciò che importa davvero a chi la mattina si alza e va a lavorare in fabbrica, in miniera o da Mc Donald’s, il cui obiettivo principale è guadagnarsi il pane e non tanto che tutti abbiano gli stessi diritti o che venga raggiunta la pace in Siria. Il suo andare contro corrente, il suo essere totalmente “politically uncorrect”, lo hanno reso più simile a tutte queste persone, che al comando vogliono qualcuno che parli e agisca concretamente, senza preoccuparsi di piacere agli altri politici perbenisti e fasulli. Tutto ciò che dicono questi ultimi, per Trump è “fake news”: nessun concetto potrebbe essere più azzeccato per esprimere ciò che i suoi stessi elettori pensano, sentendosi traditi e calpestati da chi in continuazione non dice la ‹‹verità›› solo per coprire i propri interessi (a questo punto viene da chiedersi come mai uno come Paul Ryan, portavoce della camera statunitense, poi aspramente criticato dal Washington Post, abbia deciso di appoggiare Trump nonostante non lo approvi – non è forse questo rinunciare al perseguimento della verità soltanto perché è più facile, e più conveniente, adeguarsi?). C’è da dire, poi, che i media tradizionali non hanno fatto altro che alimentare le pungenti affermazioni di quello che è diventato il presidente americano, dando vita ad un gigantesco “rimbalzo mediatico”, come osserva puntualmente Oscar Bartoli, giornalista italiano che vive a Washington Dc da più di vent’anni

. È chiaro che la visibilità è indispensabile per ottenere consenso e Mr. Trump ha di certo messo in atto una strategia vincente e piuttosto intelligente, tanto che le fake news non solo hanno caratterizzato le elezioni americane, ma si apprestano ad “inquinare” anche le imminenti elezioni francesi del prossimo 23 aprile. Sostanzialmente oggi, per raggiungere il ‹‹consenso››, non si può più prescindere dal fatto che tutti vogliono partecipare attivamente al dibattito e desiderano sentirsi considerati e direttamente coinvolti nelle decisioni.

In fin dei conti, è sempre stato così: noi esseri umani abbiamo bisogno di sentirci parte di qualcosa, di appartenere a qualcosa – ecco perché le adunate dei partiti fascista e nazista riscuotevano tanto successo – e la massima espressione di questa volontà si realizza nelle società di massa, “nelle quali troppo spesso si rinuncia alla propria individualità e autonomia di giudizio, perché è più facile parlare con le parole degli altri”, sottolinea ancora Oscar Bartoli. Non è un caso che sempre più persone decidano di arruolarsi tra le file dell’ISIS, che promette a individui che non si sentono accettati e che non percepiscono alcun senso di appartenenza, trattandosi spesso di immigrati che non sanno più quale sia la loro identità, la possibilità di dare finalmente un senso e uno scopo alla propria vita, ma soprattutto di essere qualcuno di importante, in grado di apportare un cambiamento reale nel mondo. Ed è ancor più significativo il fatto che Daesh utilizzi proprio le piattaforme social per diffondere il proprio messaggio e reclutare nuovi seguaci; si tratta sicuramente di uno degli esempi più calzanti per dimostrare quanto queste siano divenute fondamentali nell’ottenere consensi. Anzi, a volte i metodi e i media tradizionali non sono più efficaci: se pensiamo alla prima elezione di Barack Obama, è stato il web a garantire il raggiungimento di un vasto pubblico. In Italia, addirittura, esistono votazioni effettuate on-line. Non si tratta quindi, a detta di Sara Bentivegna, insegnante presso la Sapienza di Roma, di “un vezzo giornalistico trasversalmente presente nei nostri media”, ma di una realtà ormai assodata. I

social media permettono di far parte di una grande comunità nella quale ognuno ha diritto di esprimersi, e ormai la popolarità di ciascuno si basa non più su quanti amici abbia nella realtà o su quanto sia cool al liceo (cosa altrettanto odiata da chi a scuola non era “figo”), bensì da quanti likes ha la sua foto profilo o da quanti followers possiede su Instagram o Twitter.

Soltanto così ci si sente davvero apprezzati ed è su questo che si basano le proprie relazioni.

Forse proprio perché non sappiamo più discernere tra realtà e finzione, e a causa della nostra propensione ad omologarci, non dovremmo procedere ad un completo processo di disintermediazione: nonostante tutto abbiamo bisogno di una guida, di qualcuno che ci aiuti a capire quello che ci sta intorno (che non è affatto facile!), che, come ci ricorda Carlo Sorrentino, autore di vari testi sul giornalismo, funga da “bussola” per fornirci le coordinate e da “mappa” per orientarci nel mondo.