Firmata l’ordinanza per lanciare Immuni, applicazione italiana per il tracciamento del contagio da coronavirus. L’app è stata scelta perché ritenuta più idonea per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto della pandemia.

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L’app Immuni per il tracciamento degli italiani nella Fase 2 dell’emergenza resterà volontaria, almeno così dichiara il commissario Domenico Arcuri. Ma sul funzionamento, sulla protezione dei dati e soprattutto sulle limitazioni ulteriori alla libertà di spostamento a cui potrebbe incorrere chi non la scarica resta ancora una incognita. A questo punto è lecito chiedersi se l’alternativa al tracciamento possa essere la privazione della libertà. Non è infatti escluso che chi sceglierà di non scaricare l’app potrebbe avere delle limitazioni negli spostamenti.

Per essere efficace, infatti, dovrà essere presente sul 60% dei dispositivi degli italiani. Di conseguenza per cercare di garantire questa soglia minima per il buon funzionamento del sistema è ipotizzabile pensare che chi non avrà tale applicazione potrebbe essere costretto a prolungare i propri arresti domiciliari. E’ quindi evidente che se tutti la rifiutassero e se comunque non accettasse di scaricarla la maggioranza assoluta dei cittadini, la sua utilità sarebbe, come detto, nulla. Ma vista la percentuale di chi ha obbedito fino ad oggi anche a imposizioni severe che hanno limitato la libertà personale è facile immaginare che la maggiore parte degli italiani la scaricherà volontariamente pur di riacquistare la libertà perduta a colpi di decreti.

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Tecnicamente diciamo che la app del “sorvegliato speciale” sarà scaricata dai telefonini per individuare, tramite Gps, tutti gli spostamenti e i contatti con altre persone avuti da persone risultate positive al coronavirus Covid-19. L’applicazione si collegherebbe continuamente, via Bluetooth, con i telefonini di tutte le persone che si incontrano nei vari momenti della giornata lavorativa e familiare, come su un mezzo di trasporto collettivo.

Insomma, attraverso il Bluetooth è possibile rilevare la vicinanza tra due smartphone entro un metro e ripercorrere a ritroso tutti gli incontri di una persona risultata positiva, così da poter rintracciare e isolare i potenziali contagiati. Una volta scaricata, la app conserva sul dispositivo di ciascun cittadino una lista di codici identificativi anonimi di tutti gli altri dispositivi ai quali è stata vicino. Più la si usa, più il governo potrebbe restituire la libertà che fin qui ha tolto e riaprire parti consistenti del sistema produttivo.

Ma la questione riserva anche una curiosità. La app è stata messa a punto da una società fra le più giovani del settore, l’italiana “Bending spoons spa”, primo sviluppatore di App in Europa in ambiente Ios, che ha già al suo attivo applicazioni scaricate da 200 milioni di utenti. Nel capitale di questa società, dal luglio 2019 (quindi in tempi non sospetti), con una quota di minoranza, c’è la “H14”, presieduta da Luigi Berlusconi, con amministratore delegato Barbara Berlusconi e socia Eleonora Berlusconi, tutti figli di Silvio Berlusconi. La stessa H14 controlla il 21% circa del capitale Fininvest in mano ai tre figli nati dal matrimonio del leader di Forza Italia con Veronica Lario. Tra i consulenti della “Bending”, inoltre, troviamo John Elkann, presidente di Fca.

Ora, fermo restando che Immuni non costerà nulla al governo italiano – si tratta di contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software di contact tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons – è chiaro, tuttavia, che gli utenti dovranno fornire i propri dati (anagrafici, telefonici, spostamenti) al governo e alla società titolare. Non solo dati generici. La seconda funzione di “Immuni”, infatti, è anche quella di creare una scheda clinica, redigendo un questionario nel quale, oltre all’età, sesso, presenza di malattie pregresse e assunzione di farmaci, bisogna inserire ogni giorno eventuali sintomi o novità sullo stato di salute. A questo punto si creeranno inevitabilmente due fronti contrapposti: da una parte chi è disposto ad ottenere la libertà a tutti i costi, dall’altra chi griderà alla violazione della privacy. In sostanza ci raccontano che l’uso dell’app è necessario per ridurre la trasmissione del contagio. Bene, ma se così non fosse  perché dovrei mettere in piazza i miei dati personali senza sapere con assoluta certezza che ne trarrò un beneficio sicuro? E questi dati verranno utilizzati solo per ragioni sanitarie?

E’ quindi inaccettabile che il commissario Arcuri possa decidere da solo l’utilizzo di queste applicazioni. Meno male che in Parlamento si stanno facendo sentire voci di dissenso trasversali le quali sostengono che tutto può essere praticabile, certo, ma non senza una legge che ponga dei paletti su ciò che può essere fatto e ciò  che non può essere fatto.