Anche gli alleati di governo del PD sono stati sorpresi dell’annuncio di Conte che, nella strada di mezzo fra Re Luigi XVI (che ricordiamo fece una brutta fine) e chi non sa che pesci prendere, senza preavvisare la sua maggioranza lanciava gli Stati Generali dell’economia. Lo scopo? Raccogliere le idee ma senza chiedersi allora le innumerevoli task force cosa abbiano prodotto in due mesi di  lavoro o a cosa siano servite.

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E’ evidente che il governo non abbia una direzione chiara e ne è esempio drammaticamente chiaro il caos scuola e gli indicibili ritardi nella applicazione di tutti i suoi decreti economici. Pensare che si possa cambiare i destini del nulla giallo-rosso (ma mi pare più giallo in questo momento) in tre soli giorni e convocando nuovamente tutto lo scibile delle parti sociali ed economiche è abbastanza risibile. A qualsiasi osservatore in buona fede risulterà ben chiaro che la vera scorciatoia per avere un governo efficace è proprio cambiare governo, togliendo dalle poltrone i vari soggetti senza idee e senza conoscenza della reale economia e mettendo persone competenti.

Molte aziende non riusciranno a superare questo 2020, soprattutto quelle che già prima del Covid19 faticavano. Da un punto di vista brutalmente economico questo fenomeno “darwiniano”, terribile e spietato, può essere una grande occasione: perché laddove aziende in perdita cessano di esistere si creano spazi per nuove imprese, rinnovate e innovate, che possano creare nuovo lavoro e nuovo mercato. Ma questa transizione va agevolata e consentita, cosa che il governo non ha minimamente idea di come fare.

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È giustissimo prevedere la estensione delle tutele dei lavoratori tramite disoccupazioni, redditi di inclusione e casse integrazioni. Ma si deve contestualmente agire per riportare il prima possibile le medesime persone di nuovo a lavorare. Altrimenti l’assistenzialismo eterno porta il paese velocemente in rovina e l’assistenzialismo provvisorio, quando cessa, lascia le famiglie per strada.

Parliamo ad esempio delle piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’Italia: qualcuno si sta chiedendo cosa occorre per farle ripartire da zero? Come è possibile, ad esempio, che nessuno si sia posto il tema dei contratti di lavoro?

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Occorre in primis un nuovo job act! Per un periodo di almeno tre anni occorre un nuovo contratto di lavoro flessibile e con costi fiscali bassissimi (è una follia che per dare 1.000 euro al mese ad un lavoratore una azienda ne debba spendere più del doppio). Un contratto di questo tipo, fortemente finalizzato a reintrodurre nel mercato del lavoro tutti coloro che lo hanno perso, deve ovviamente prevedere automatici sussidi di disoccupazione in caso di cessazione del rapporto. Inoltre lo stato, introducendo questo tipo di contratto, leverà qualsiasi alibi alle aziende che assumevano in nero, potrà far riemergere molti lavoratori.

Ma per far partire nuove attività, o far ripartire quelle precedenti, occorre mettere in piedi anche altri provvedimenti:

  1. Sburocratizzazione e tempistiche certe per le autorizzazioni di nuove attività (rafforzando e velocizzando oltretutto gli interventi della giustizia civile, cioè dei TAR, per tutelare le aziende da retaggi burocratici).
  2. Incentivi fiscali e semplificazione per ridurre il costo energetico delle aziende italiane attraverso uso di fonti energetiche alternative
  3. Intervenire sui costi di locazione /affitto per tre anni facilitando le rinegoziazioni con crediti di imposta cedibili in caso di accordo fra le parti
  4. Semplificazione massima delle forme di accesso ai fondi europei (è ridicolo che ci siano ancora miliardi europei del periodo 2013-2020 non utilizzati per lungaggini burocratiche)

Sicuramente ci sono altre azioni possibili, ma una cosa è certa: non servono né Stati Generali né ulteriori task force, serve che al governo ci siano persone che impresa la abbiano fatta, il lavoro lo abbiano creato e gestito, e sappiano davvero di cosa si parla.

Né vanno ricercate ricette innovative e fantasmagoriche: chi sa fare, faccia e chi non è in grado si accompagni all’uscita.

di Luca Borreale